(parte terza)
Giorni fa, per andare al cinema , ho attraversato a piedi Piazza dei Cinquecento, davanti alla Stazione Termini.
Embhè? Direte voi…
Embhè, erano anni che non lo facevo, e mi sono trovata catapultata in una città di cui avevo perso almeno in parte i connotati. Vi sembra poco? E soprattutto vi sembra normale? A me no.
Negli ultimi dieci anni, insisto nel dire, ho lavorato come una matta: chiusa negli uffici ed in macchina, ho vissuto quasi fuori dal mondo quotidiano, in una realtà chiusa ed asfittica, dieci, dodici ore al giorno.
Certo, che la nostra fosse divenuta una città multi etnica non mi era sfuggito, ma ieri per la prima volta ho visto molto di più.
I miei ricordi sulla Stazione Termini come luogo di passeggio risalgono a tantissimi anni fa, a quando con mia madre mi recavo dal nostro medico di famiglia – il vecchio Dott. De Luca- in via Palestro.
Parliamo di trenta , trentacinque anni addietro.
Prendevamo l’autobus, scendevamo vicino alla Stazione e facevamo un pezzo di strada a piedi.
Molte meno macchine, uno splendida torrefazione che vendeva dei buonissimi wafer a forma di noce, i taxi verdi e neri ed il 64 a due piani.
Era un altro mondo, un’altra moda, un’altra società.
Mia madre portava il cappello ed i guanti, sempre: estate ed inverno cambiando la consistenza dei tessuti. Era una donna elegante ma non era l’unica. Molte altre persone vestivano come lei o come mio padre. La società era formale e forse un po’ ipocrita ma certamente più educata.
Noi piccoli lasciavamo il posto a sedere agli anziani ed alle donne in attesa e le persone rispettavano, più o meno, dei codici di buone maniere con un minimo di sano senso civico.
Nei ricordi più recenti la stazione della mia adolescenza era un luogo d’appuntamento per incontrare gli amici:” Dove ci vediamo? Sotto la lampada Osram.”
Già un'altra epoca, un’ altra moda e molta guerriglia politica. Le persone si vestivano meno elegantemente ma ci sentivamo tutti molto “in progress” e questo ci aiutava.
Ieri ho preso l’autobus e la gente mi calpestava, urtava, alitava addosso misture di cipolle ed aglio, i ragazzini mi strattonavano con degli zaini duri come pietre e nessuno mi ha chiesto scusa, mai, nemmeno una volta.
Tutti vesti uguali, stessi jeans, stessi colori, stessa indifferenza all’altro.
Si è liberato un posto a sedere e l’ho ceduto ad una donna rumena che mi sembrava stanca. Lei mi ha guardato stupita, poi sollevata e grata si è lasciata cadere sul rigido sedile.
Capolinea – Stazione Termini- Un mondo fantastico!
Avevo l’impressione che tutte le razze fossero presenti, nessuna esclusa. Sentivo parlare le lingue più strane e soprattutto tutte quelle persone mi sembravano cittadini della nostra capitale e non semplici turisti. Andavano e venivano, s’incontravano e baciavano, ridevano e davano l’impressione che questa mia città fosse ormai anche la loro.
Amo i miscugli e quindi non ho pregiudizi di sorta ma vi assicuro che ieri Roma mi ha stupito, ancora una volta. Finalmente una girandola di abiti diversi, di colori diversi: turbanti, cappelli, abiti di paesi lontani ed una grande, grandissima vivacità. Peccato che osservando meglio si notano i volti tristi, stanchi, gli sguardi incerti o eccessivamente spavaldi e ti chiedi: ma tutta questa gente qui, che fa?
E’ felice? E’ triste? E’ veramente integrata od è disperatamente sola e sfruttata da una organizzazione sociale che troppo spesso chiude entrambi gli occhi di fronte alle ingiustizie?
Non ho risposte definitive ma ho dei timori che, nell’esultanza di una molteplicità di culture, mi lasciano un senso di amara verità. Ma se io, semplice cittadina che lavora in ruoli minori nel settore istituzionale, ho vissuto, per esigenze d’ufficio, gli ultimi dieci anni sigillata nei vari palazzi - perché questo è il prezzo che bisogna mettere in conto per soddisfare l’esigenze di questi incarichi - mi ero persa tutto ciò, cosa ne capiranno, loro, i politici? Loro che vivono avvinghiati alle comode poltrone, insofferenti alle proteste, blindati nelle corsie preferenziali delle auto blu con autista, chiusi nelle stanze di un potere che non cammina mai per le strade ed accede a tutto senza fatica; come faranno loro ad avere veramente il senso di questa società che cambia?
Come possono, non vivendola da vicino, comprendere e gestire le esigenze di una popolazione così variegata?
Lavorare, lavorare ed ancora lavorare, mi ha fatto perdere il contatto profondo con la mia città, con il contesto umano in cui vivo.
Non sono una persona distratta, tutt’altro, ma i telegiornali, l’informazione stampata, una passeggiata al centro od un buon film, anche impegnato, insomma tutto quello che è possibile fare nel fine settimana, quando il lavoro da una tregua alla tua vita, non possono sostituire la realtà. Bisogna vivere, girare e parlare per conoscere. Tutto il resto è molto, molto relativo; aria. fritta
6 commenti:
Adesso dopo un amarcord di 35 anni fa, prova ad immaginare la Stazione Termini fra 35 anni.
Ok, lo farò, non so quando ma risponderò a questa sfida.
Bellissimo post!
ciaomarina
Grazie, felice che ti piaccia. Io sto veramente riscoprendo un mucchio di cose.
Non posso non commentare, e immediatamente. Di getto, d'impulso, appassionatamente. Perchè hai raccontato quello che è accaduto a me e quello che sempre pensato.
Anch'io ho lavorato tantissimo, talmente tanto che mi vergogno anche a dirlo, timorosa che mi si possa chiosare con " e che farà mai, questa! Il minatore?". E allora, se declinavo qualche invito, o ero assente a tante occasioni, o se, più semplicemente, non ne avevo voglia perchè troppo troppo presa dal lavoro, glissavo, inventavo, mi accucciavo, mi mimetizzavo. Il troppo lavoro mi ha fatto fare scelte di vita importanti, e sempre, se non contro me, certamente non a mio favore. Ho abdicato anche alle cose più semplici, ma essenziali, quelle che racconti tu, e oggi so che non ne valeva la spesa. Ma questo è un altro argomento e, forse, lo approfondiremo un'altra volta.
Lavorare, sempre lavorare, mi ha fatto perdere il contatto anche con me stessa, adesso il mio blog, i vostri blog, me lo restituiscono.
Una parola ancora relativa ai politici, è inutile porci domande: non capiscono nulla! Ed è un fatto conclamato. Non prendono un autobus, la metropolitana, non vanno in ospedale, all'ufficio postale, nelle banche.... Cosa possono capire? Hanno percorsi sempre privilegiati, stanze ovattate che li accolgono, lusso, mormorii, soldi, soldi, soldi. Con i soldi si fa (quasi) tutto, ci si prende il meglio, di vita, di vacanze, di cure. Di scuole per i figli, di professioni per loro, di ambizioni per tutti, con e senza talento.Cosa possono capire? Se sono nei gangli di tutte le istituzioni che contano, se hanno stock options arcimiliardarie, la figlia di Geronzi è al TG5, la moglie di Debenedetti è una giornalista, la figlia di Loiero, un'altra giornalista. Il figlio di Colaninno (ricordate la razza padana?) è il presidente dei giovani industriali o qualcosa di simile. Mastella ha comprato per due euri un appartamento di 28 stanze, e dico ventotto stanze. Berlusconi siede su una montagna di miliardi, Mintezemolo riunisce in sè cinque o sei cariche importanti, e certo non ne avrebbe bisogno neanche di una. Gli Agnelli hanno avuto dallo stato tappeti rossi per ripianare le loro difficoltà, oggi si riabilita pure Lapo, "testimonial sicuro del gusto italiano". Vespa ha piazzato suo figlio alla radio, la Borromeo è con Santoro, sodalizio quanto meno originale... Mi fermo. Sono stata troppo lunga, me ne scuso. Ma è stato per dirti che la penso esattamente come te e che se fossimo un pò più impegnati, un pò più volenterosi, un pò più orgogliosi, potremmo lasciare tracce diverse.
Ciao, e grazie di avermi letto, mi ha fatto piacere.
Grazie a te Buluginando, anche questo blog è una conquista di tempo e spazio che finalmente mi sono concessa, come d'altronde, credo di aver capito, sia stato per te. Mi fa piacere inoltre scoprire anche in altre persone il bisogno di frenare ed a volte fermarsi per riconquistare ciò che una modernità non sempre valida ci sta togliendo.
nel prossimo post parlerò di come un viaggio, arrivato in un momento evidentemente appropriato, mi ha restituito il senso del tempo.
A presto.
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