Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

giovedì 31 gennaio 2008

L' Egitto, il Nilo ed il senso del tempo

(parte terza)

Durante gli spostamenti in pullman, Tamer ci raccontava gli usi e costumi del suo paese.
La sua posizione nei confronti della propria cultura era abbastanza obiettiva, non amava gli atteggiamenti integralisti ma aveva un approccio di stupore per alcuni nostri costumi.
E’ un uomo giovane, curioso e colto e quindi il suo raccontare era anche un modo di scoprire, attraverso le nostre domande, le reciproche diversità, rispondendo per il proprio popolo cercava un confronto con il nostro ed i dibattiti che si apriva erano molto interessanti.Quello che emergeva era, almeno per me, un sovrapporsi di preconcetti e pregiudizi che vincolano una reale comprensione. Noi italiani ci sentiamo un popolo libero, progredito, emancipato culturalmente e l’atteggiamento dei miei connazionali era quello di una, neanche tanto velata, sensazione di superiorità. Lui ci guardava con gli occhi dolci e mentre alcuni di noi s’infervoravano nel voler dimostrare di vivere in una cultura superiore, lui manteneva una calma serafica e ci spiegava un altro punto di vista

Iniziò raccontandoci il matrimonio egiziano, prendendo ad esempio il suo.

Al momento del fidanzamento ufficiale le due famiglie, comprensive di zii e nonni si riuniscono per stabilire la famosa dote. Dai suoi racconti si evincevano situazioni esilaranti, con discussioni infinite che possono durare giornate intere. Essendo una sorta di contrattazione commerciale credo che si esaurisse per sfinimento dei partecipanti. Considerando che una qualunque vendita nel loro paese è momento di lunga contrattazione, non oso immaginare cosa possa comportare assicurare, in modo equo, il benessere presente e futuro dei due novelli sposi.


Come accade spesso parlando di matrimonio finimmo, dopo un iniziale pudore, a parlare di sesso.
La curiosità di noi italiani non conosceva confini e le battute sulla fortuna maschile degli egiziani, di poter avere più mogli scatenava la fantasia erotica dei più, che però fu subito smorzata.
Tamer ci spiegò che la possibilità di contrarre più di un matrimonio era legata unicamente alla capacità, da parte dell’uomo, di assicurare il mantenimento di tutte le mogli e dei loro presenti e futuri figli. Per di più, questa usanza veniva incoraggiata soprattutto se l’uomo in questione, oltre al certo mantenimento, prendesse come seconda o terza moglie una donna vedova, fornendo così una sorta di assistenza sociale privata. Ma udite, udite ciò è possibile, sempre secondo le parole di Tamer, soltanto se la prima moglie da la sua approvazione. Non male direi. In fondo da noi, molte mogli dividono il proprio marito con una o più donne senza poter dare il loro personale consenso, ritrovandosi a volte abbandonate senza che questo assicuri loro un’adeguata partecipazione futura da parte del fedigrafo ometto, che speso, troppo spesso, si dilegua senza contribuire alle spese dei figli.
Ma il picco fu raggiunto con il discorso sulle prestazioni sessuali. Sempre a detta di Tamer, gli uomini non possono mai sottrarsi alla richiesta della moglie di fare l’amore. Se ciò accade, diceva lui, la donna può chiedere il divorzio. Vi lascio immaginare, si alzò un coro di sospiri e qualcuna più esplicita partì con un sonoro applauso. Al contrario, se è la donna a rifiutarsi di fare l’amore (questo diceva sempre Tamer) il marito non può che accettare, poiché ( e qui ci fu un ovazione) se lei non vuole farlo, avrà i suoi motivi, insindacabili.
Gli uomini non parlavano più, li aveva stesi rendendo ridicole tutte le pregiudizievoli credenze che avevano accompagnato la loro baldanza maschile. Le donne invece, da quel giorno, vi assicuro, iniziarono a guardare gli abitanti del luogo con ben altri occhi.




martedì 29 gennaio 2008

L'Egitto, il Nilo ed il senso del tempo

( Parte seconda)

Quando sulla nave che ci trasportava lungo il Nilo ci assegnarono la guida, conoscemmo Tamer.
Tamer fu per tutto il nostro viaggio la voce parlante che ci raccontò un Egitto senza spazi temporali.
La sua bravura è pari alla bellezza del suo paese e posso affermare che mai, in nessun altro viaggio ho avuto la fortuna ed il piacere d’imbattermi in una guida così preparata e disponibile. Ma non fu tutta qui la nostra buona sorte: Tamer sapeva trasportarci in una terra misteriosa ed allo stesso tempo descriverci gli usi ed i costumi dell’Egitto moderno senza preclusioni, rispondendo a qualunque domanda, anche la più maliziosa ed impertinente.
Tamer è un uomo giovane, all’epoca aveva trentadue anni, sposato e già padre di quattro figli. Aveva con il gruppo un rapporto molto simpatico e disponibile ed anche questa è una dote non comune.

Iniziammo il nostro viaggio da Luxor, la parte alta del Nilo e navigammo fino ad Assuan. Il tempo era bello ma l’escursioni per molteplici motivi, anche climatici, prevedevano delle alzatacce. Ci svegliavamo prima dell’alba e come in tutte le zone desertiche l’escursione termica era terribile. Fu divertente perciò alla prima adunata vedere persone in bermuda ed infradito ed altre, ben più documentate, che sembravano partire per i ghiacciai.



Tamer iniziò raccontandoci l’Egitto antico, i faraoni, i loro amori, le gesta grandiose e le loro crudeltà. Ci spiegò la cultura di un popolo che sapeva molto più di quanto noi possiamo ritenere possibile per la lontananza storica dalle nostre conquiste scientifiche ed architettoniche. Dipinse di colori vivi le pitture in alcuni casi ormai sbiadite e riempì, con i suoi racconti di vita, le mura e gli spazi di quei luoghi. Ci regalò un’ alba indimenticabile con il sole che spuntava tra le colonne di un tempio grandioso e la statua di uno scarabeo gigante, invitandoci, con il nascere del sole, a compiere i sette giri che la leggenda prevede per favorire la buona sorte.
Infreddoliti ma estasiati ci trasportò, con il fascino delle sue parole, indietro di millenni. Ci raccontò il potere ed il lavoro dei sacerdoti di questi templi, i riti del popolo, la vita del Nilo, la ricchezza che deriva dalle sue inondazioni, la storia delle divinità, le guerre. Non si limitò ai soliti percorsi ma scelse per noi angoli remoti, inusuali dove lasciarci assaporare un Egitto ben poco turistico.E fu magia.

Sentivamo frusciare le vesti delle donne, ci impolveravamo di sabbia abbagliandoci nella luce accecante del sole. Nella calma di strade poco battute ci spingeva ad annusare gli odori della sua terra, i colori delle mille spezie. Provammo il languido procedere delle feluche mentre il sole accendeva di rosso il deserto delle rive. Eravamo frastornati dalla bellezza.
E lentamente, quando il nostro cammino invertì il suo percorso puntando verso nord, iniziò a risalire i secoli della storia raccontandoci un altro Egitto.






venerdì 25 gennaio 2008

Purtroppo, mi vergogno.

In questo blog i toni sono sempre bassi. Qui siamo "Nella stanza del te", luogo in cui si esce dagli affanni del giorno per ritrovare una dimensione più intima e raccolta che ci permetta di avere un approccio diverso con quello che ci circonada. Ma oggi, per quanto io volessi trattenermi nell'esprimere un giudizio sulla giornata parlamentare di ieri, le immagini che vedo rimbalzare ovunque mi hanno convinta a dire la mia.
Non parlerò di politica, lavorando in questo ambito preferisco astenermi. Tuttavia mi è impossibile ignorare lo spettacolo grottesco che alcuni nostri senatori hanno offerto a noi e purtroppo al mondo intero ieri sera, dopo l'annuncio del voto di sfiducia.
Voglio essere chiara: in questo ambito non m'interessa il partito d'appartenenza, quale sia la fede politica e gli interessi personali che muovono gli animi di questi signori pagati con oltre 27,000,00 dei nostri sudati soldi. Voglio denunciare il mio sdegno, quello di una cittadina italiana, che ha dovuto assistere impotente ad un comportamento che già definito " da osteria" non ha veramente alcuna possibile giustificazione.
Io mi vergogno e m'indigno nel vedere questa cosidetta " classe eletta" - che tra l'altro dovrebbe esserlo di nome ( in quanto si presume colta, intelligente ed in grado di rappresentare al meglio il nostro paese sia nel nostro territorio che nel mondo) e di fatto ( poichè è stata eletta dal popolo e dovrebbe essere così responsabile da governarlo al meglio, nell'interesse collettivo) che in un parlamento tira fuori lo spumante, si sgargarozza fette di mortadella e fa versacci e cori come se si trovasse ad una scampagnata goliardica di basso livello.
Io mi vergogno perchè queste immagini hanno già fatto il giro del mondo e sarà dura convincere un inglese od un giapponese che l'Italia non è un paese allo sbando. Non so ipotizzare che tipo di commenti e che tipo di credibilità potremmo ricevere, per questo, nel resto del mondo. Gli altri popoli ed i loro stati avranno i loro limiti, le loro pecche ma in linea di massima hanno una dose di educazione civica e di rispetto che noi continuiamo ad eludere, senza curarci delle conseguenze.
La gioia per un risultato politico può essere espressa in molti modi, certamente più consoni.
Spesso sento dire dai turisti che incontro nei miei viaggi che a noi italiani non viene riservata una buona accoglienza: non è vero! Io viaggio molto e, tranne rarissimi ed isolati casi, ho sempre incontrato simpatia e rispetto per me e per il mio paese. Ma è pur vero che, in un mondo globalizzato, quello che accade qui è di dominio pubblico ovunque e non credo che gli spettacoli che spesso offriamo possono innalzare la stima nei nostri confronti. Vogliamo parlare della Campania sommersa dai rifiuti nell'anno 2008 d.c.?
La classe politica rispecchia il popolo che l'elegge e se tanto mi da tanto, la nostra immagine non nè esce rinvigorita. Ma avete mai visto il parlamento di un altro stato tirare fuori alcol e mortazza per festeggiare la caduta di un governo? Io no. E quello che più mi fa male è che tutto ciò sembra non turbare gli animi di molti, come se questo paese, un tempo illuminato dalla cultura, dalla bellezza e non da ultimo sinonimo d'eleganza, vivesse una forma di regressione, d'imbarbarimento sociale che lo rende cieco, incapace di rendersi conto di quanto siamo caduti in basso.

mercoledì 23 gennaio 2008

L' Egitto, il Nilo ed il senso del tempo

(Prima parte)


Ci sono viaggi che ti cambiano. Cambiano il tuo modo di percepire qualche aspetto della vita ed evidente che li cercavi, ne avevi bisogno.
E’ accaduto anche a me, più volte, ma stranamente per quanto io abbia viaggiato, e molto, i viaggi più importanti sono arrivati negli ultimi due anni, allo scoccare del mio quarantesimo compleanno.
Non imputo alla svolta dei quaranta il significato dei miei cambiamenti. Le rivoluzioni camminano lentamente nel tempo, e poi esplodono rendendosi visibili. E allora si pensa che siano improvvise, ma appunto, non è così.
Il viaggio di cui vi parlerò oggi era un desiderio in cui mi adagiavo da tempo ma un periodo molto duro, in più ambiti, mi aveva impedito di viverlo.
Ma come accade sempre, anche i periodi peggiori passano ed io, esausta, raccoglievo la mia stanchezza sperando di gettarla via, il più lontano possibile. Ed è stato proprio in quei giorni che per vedermi rifiorire mi è stato regalato questo sogno: l’Egitto e la navigazione sul suo fiume: il Nilo.
Sono partita per questa terra con la pura che il mio fisico, in quel momento, non avesse le forze necessarie per sopportare gli orari impossibili e la fatica che alcune escursioni richiedevano. Invece, appena i miei occhi hanno iniziato a posarsi su quei paesaggi, il mio corpo ha iniziato a rigenerasi.
Fluiva nuova energia e di conseguenza anche la mente si destava, ritrovando vigore e lucidità.



L’Egitto è un paese magico che vive, nella maggior parte del suo territorio, come sospeso in un tempo lontano.
Credo che sia uno dei pochi paesi del mondo nel quale un italiano, ed a maggior ragione un romano, si guarda intorno e prova un senso di meraviglia per quello che sta vedendo. La sua storia ti avvolge e ti senti trascinato indietro di millenni. Per noi italiani è una sensazione rara, noi viviamo nella storia, quotidianamente, e questo ci rende viaggiatori difficili e spesso giustamente orgogliosi ed un po’ meno giustamente, superbi.
Ma lì, tra la sabbia del deserto ed i templi qualcosa accade e un senso di magnificenza ti appaga l’anima.
Senti vibrare la voce dei faraoni e ti sembra di odorare il sudore degli schiavi che hanno compiuto opere magistrali. Le palme frusciano mosse da un vento caldo e quando dopo l’esplorazioni archeologiche torni sul tuo battello per proseguire il cammino il Nilo ti toglie il fiato.


Il suo lento fluire lungo le coste è una dell’esperienze più affascinanti che io abbia mai vissuto.
Piccole capanne si affacciano tra una vegetazione incostante. Gruppi sparuti di bimbi giocano tranquilli lungo le rive e ti salutano con la mano. Gli adulti compaiono improvvisi, abbigliati di lunghe vesti, appoggiati a nodosi bastoni o in groppa a piccoli somari come avessero attraversato indenni millenni di storia. Le donne vestite di nero sembrano pietre di onice tra la sabbia dorata e se ne stanno sedute a riposare, osservando le navi passare. E’ quello forse uno dei pochi e reali contatti che queste persone possono concedersi con noi, mondo per loro tanto diverso e lontano.
Il sole declina verso occidente e colora di striature infiammate di rosso e viola l’orizzonte, ed impossibile, veramente impossibile distogliere lo sguardo.
Iniziano a spuntare le stelle e la temperatura si abbassa, drasticamente, e già sulla sponda opposta la notte inizia il suo ciclo ma è impensabile andar via, lasciare spegnere, senza bearsene, l’incanto di un paesaggio che inizia a spiegarti il senso del tempo.





lunedì 21 gennaio 2008

Il lavoro nobilita l'uomo? Dipende

(parte terza)


Giorni fa, per andare al cinema , ho attraversato a piedi Piazza dei Cinquecento, davanti alla Stazione Termini.
Embhè? Direte voi…
Embhè, erano anni che non lo facevo, e mi sono trovata catapultata in una città di cui avevo perso almeno in parte i connotati. Vi sembra poco? E soprattutto vi sembra normale? A me no.
Negli ultimi dieci anni, insisto nel dire, ho lavorato come una matta: chiusa negli uffici ed in macchina, ho vissuto quasi fuori dal mondo quotidiano, in una realtà chiusa ed asfittica, dieci, dodici ore al giorno.
Certo, che la nostra fosse divenuta una città multi etnica non mi era sfuggito, ma ieri per la prima volta ho visto molto di più.
I miei ricordi sulla Stazione Termini come luogo di passeggio risalgono a tantissimi anni fa, a quando con mia madre mi recavo dal nostro medico di famiglia – il vecchio Dott. De Luca- in via Palestro.
Parliamo di trenta , trentacinque anni addietro.
Prendevamo l’autobus, scendevamo vicino alla Stazione e facevamo un pezzo di strada a piedi.
Molte meno macchine, uno splendida torrefazione che vendeva dei buonissimi wafer a forma di noce, i taxi verdi e neri ed il 64 a due piani.
Era un altro mondo, un’altra moda, un’altra società.
Mia madre portava il cappello ed i guanti, sempre: estate ed inverno cambiando la consistenza dei tessuti. Era una donna elegante ma non era l’unica. Molte altre persone vestivano come lei o come mio padre. La società era formale e forse un po’ ipocrita ma certamente più educata.
Noi piccoli lasciavamo il posto a sedere agli anziani ed alle donne in attesa e le persone rispettavano, più o meno, dei codici di buone maniere con un minimo di sano senso civico.
Nei ricordi più recenti la stazione della mia adolescenza era un luogo d’appuntamento per incontrare gli amici:” Dove ci vediamo? Sotto la lampada Osram.”
Già un'altra epoca, un’ altra moda e molta guerriglia politica. Le persone si vestivano meno elegantemente ma ci sentivamo tutti molto “in progress” e questo ci aiutava.
Ieri ho preso l’autobus e la gente mi calpestava, urtava, alitava addosso misture di cipolle ed aglio, i ragazzini mi strattonavano con degli zaini duri come pietre e nessuno mi ha chiesto scusa, mai, nemmeno una volta.
Tutti vesti uguali, stessi jeans, stessi colori, stessa indifferenza all’altro.
Si è liberato un posto a sedere e l’ho ceduto ad una donna rumena che mi sembrava stanca. Lei mi ha guardato stupita, poi sollevata e grata si è lasciata cadere sul rigido sedile.

Capolinea – Stazione Termini- Un mondo fantastico!
Avevo l’impressione che tutte le razze fossero presenti, nessuna esclusa. Sentivo parlare le lingue più strane e soprattutto tutte quelle persone mi sembravano cittadini della nostra capitale e non semplici turisti. Andavano e venivano, s’incontravano e baciavano, ridevano e davano l’impressione che questa mia città fosse ormai anche la loro.
Amo i miscugli e quindi non ho pregiudizi di sorta ma vi assicuro che ieri Roma mi ha stupito, ancora una volta. Finalmente una girandola di abiti diversi, di colori diversi: turbanti, cappelli, abiti di paesi lontani ed una grande, grandissima vivacità. Peccato che osservando meglio si notano i volti tristi, stanchi, gli sguardi incerti o eccessivamente spavaldi e ti chiedi: ma tutta questa gente qui, che fa?
E’ felice? E’ triste? E’ veramente integrata od è disperatamente sola e sfruttata da una organizzazione sociale che troppo spesso chiude entrambi gli occhi di fronte alle ingiustizie?
Non ho risposte definitive ma ho dei timori che, nell’esultanza di una molteplicità di culture, mi lasciano un senso di amara verità. Ma se io, semplice cittadina che lavora in ruoli minori nel settore istituzionale, ho vissuto, per esigenze d’ufficio, gli ultimi dieci anni sigillata nei vari palazzi - perché questo è il prezzo che bisogna mettere in conto per soddisfare l’esigenze di questi incarichi - mi ero persa tutto ciò, cosa ne capiranno, loro, i politici? Loro che vivono avvinghiati alle comode poltrone, insofferenti alle proteste, blindati nelle corsie preferenziali delle auto blu con autista, chiusi nelle stanze di un potere che non cammina mai per le strade ed accede a tutto senza fatica; come faranno loro ad avere veramente il senso di questa società che cambia?
Come possono, non vivendola da vicino, comprendere e gestire le esigenze di una popolazione così variegata?
Lavorare, lavorare ed ancora lavorare, mi ha fatto perdere il contatto profondo con la mia città, con il contesto umano in cui vivo.
Non sono una persona distratta, tutt’altro, ma i telegiornali, l’informazione stampata, una passeggiata al centro od un buon film, anche impegnato, insomma tutto quello che è possibile fare nel fine settimana, quando il lavoro da una tregua alla tua vita, non possono sostituire la realtà. Bisogna vivere, girare e parlare per conoscere. Tutto il resto è molto, molto relativo; aria. fritta

venerdì 18 gennaio 2008

Perchè amare.

E' venerdì, ed ho pensato che il week-end concede a tutti più tempo per l'amore .
Per questo vi dedico questa frase, semplice e vera.
Buon fine settimana.

" Mostrerei agli uomini che sbagliano quando pensano di smettere d'innamorarsi non meno che invecchiare, non sapendo che invecchiano quando smettono d'innamorarsi."

Gabriel Garcia Ma'rquez

mercoledì 16 gennaio 2008

Un giocattolo pericoloso

Proprio ieri sera sono intervenuta, con un mio commento, sul blog di una mia amica che poneva, ai suoi lettori, una serie di domande sull’anima dei blog.
Si è scatenato il putiferio e sono stati lasciati un numero impressionante di commenti.
Da un certo punto di vista, per chi scrive su un blog, questo è certamente un successo. Di contro però, nel fiume di opinioni, ci si è persi in mille congetture senza forse centrare il punto di questo giocattolo informatico. Oggi a posteriori l’impressione è quella che forse ci siamo tutti parlati un po’ addosso, filosofeggiando, blaterando o portando in totale buona fede il nostro pensiero sul quesito. Questa mattina invece, come a voler rispondere almeno inparte a tutte quelle chiacchere a me è arrivata "la" risposta, l'unica alla quale nessuno di noi aveva pensato. E' arrivata leggendo il blog di un’altra persona ed è stato un sonoro schiaffo in faccia.
Questo blogger ha scritto un post molto bello sul suo cane ed io, entusiasta, volevo lasciare un mio commento di apprezzamento. Vado quindi nell’area indicata e scorro i commenti altrui, così per curiosità, come faccio sempre. Tra loro un commento anonimo che faceva riferimento, credo, a qualche altro post, precedente che io non ho letto. In questo benedetto post, evidentemente, si faceva riferimento a qualche fatto di cronaca in cui si parlava della morte di alcuni ragazzi.
L’autore del blog, penso e voglio augurarmi, in modo del tutto innocente, senza forse soppesare bene l’uso delle parole, ha usato una frase ad effetto e conclusiva: “ Sti cazzi!” Ho cercato il post andando indietro nel tempo e non l’ho trovato. Ho pensato allora che forse a sua volta aveva commentato qualche altro blog a cui però non so come risalire. Fatto sta, che questa sua esclamazione disinvolta, lasciata così, forse senza nessuna reale convinzione ma soltanto per fare una battuta o per concludere una frase ad effetto è stata letta anche dalla madre di uno di questi ragazzi morti.
La signora ha lasciato un suo commento che vorrei riportare pensando che forse questo possa servire a tutti noi, scrittori di blog per tenere sempre a mente alcuni dati importanti.
A me ha fatto un male pazzesco.

per te…. che hai scritto "sti cazzi" sulla morte dei nostri ragazzi. Sono la mamma di uno di loro e spero per te di non provare mai un dolore cosi' acuto e sordo come quando mi hanno detto che mio figlio era morto, di non provare mai la mancanza di qualcuno nella tua quotidianita', il suo sorriso la sua voce, di non provare il dolore e la paura che ha provato mio figlio quando cercava di respirare per continuare a vivere. Poi se un giorno dovessi provare tutto questo .......... STI CAZZI
16 gennaio 2008 7.40


Spero di non aver fatto dispiacere a nessuno, tanto meno alla signora, pubblicando questo commento. Anzi mi scuso anche con l’autore del blog che ho avuto modo di apprezzare per molti altri post, intelligenti, acuti e ricchi spesso di sensibilità e per questo e perché soprattutto non piace crocifiggere nessuno, eviterò di scrivere il suo nome.
Ma volevo in questo modo riportare tutti di fronte ad un dato fondamentale.
Troppo spesso questo mezzo informatico viene usato senza criterio, da tutti noi. Buttiamo lì frasi, battute, opinioni bislacche senza renderci conto che tutto ciò entra nelle case di chiunque e questo è un dato che non dovrebbe essere mai accantonato.
Io, non so come sono andate le cose nel caso specifico e non ho nessuna intenzione di giudicare.
Sono certa che l’autore del post non volesse deliberatamente ignorare, sottovalutare o ridicolizzare delle morti. Ha soltanto sottovalutato la portata del mezzo, della sua diffusione e della possibilità che questo arrivasse alle persone sbagliate, quelle che di certo non avrebbero riso della sua ironia.
I blog, per quanto ho visto, troppo spesso hanno la tendenza ha urlare frasi sguaiate, battute facili e come ho detto ieri argomenti di facile acchiappo.
Viene fatto per vanità, a volte per superficialità, a volte purtroppo perché manca il senso della misura. Ma bisogna stare attenti, essere comunque civili e rispettosi di chi ci legge. Sempre.
Non sto facendo la morale a nessuno. Quello che sto scrivendo è soltanto una riflessione che riguarda ovviamente anche me.
Personalmente, ho sbattuto la faccia su un dolore che non conosco ma che in qualche modo ho fatto mio. Sono una madre ma anche se non lo fossi credo che sarei in grado di capire.
Si può parlare di tutto, ogni argomento può essere scritto e dibattuto ma con delicatezza senza dover a tutti i costi esagerare per richiamare pubblico.
Io per quanto mi riguarda torno al mio blog, piccolino, fatto di minime cose, di molti ricordi e di tanti viaggi. E’ la mia dimensione e ci sto comoda. Ognuno scelga come crede ma mi auguro sempre nel rispetto altrui.
Un forte abbraccio.


lunedì 14 gennaio 2008

Un blog irriverente.

E si, mi duole dirlo ma questo mio blog è proprio irriverente. Con me, la sua artefice.
Non ci si crede! Eppure è proprio così, neanche più del tuo spazio cretivo ti puoi fidare.
Ora vi racconto...

Ieri è stato il mio complenno e per correttezza ho pensato di modificare la mia età sul profilo del blog.
Entro e che ti vedo: un bel 42 già segnato.
Indignazione. Ma come si è permesso -dico io- così, arbitrariamente, senza il mio permesso. E se volevo mantenere il riserbo? E se ero una donna attaccata ai miei 41? Sarranno pur sempre fatti miei? E invece no, lui, il MIO BLOG, ha deciso per me.
Scostumato ed irriverente! Ecco che cosa sei. Eppure sei il mio spazio, ti ho creato e dovresti sapere che non amo le imposizioni. Ma che tipo!!!!
Tuttavia ti perdono, ma soltanto perchè non do importanza ai numeri ed i mei 42 mi piacciono assai ed inoltre avevo già deciso di dichiarli, felice.
Ma ricorda mio amato blog, Wilde suggeriva:" Non bisogna mai fidarsi di una donna che è pronta a dichiarare la sua età perchè è capace di tutto."
Sei avvisato: la prossima volta ti oscuro

14 gennaio

Nessun artista vede le cose come sono realmente. Se lo facesse, cesserebbe di essere un artista.

Oscar Wilde
( da La decadenza della menzogna)

domenica 13 gennaio 2008

IL LAVORO NOBILITA L'UOMO? DIPENDE

Per chi non lo sapesse in questi ultimi mesi non ho lavorato.
Avevo bisogno di una pausa ed una serie di circostanze mi hanno permesso questo break ,temporaneo. Molti miei amici mi guardano perplessi, increduli, in alcuni casi addirittura contrariati.
Non comprendono o stentano a comprendere che dopo tanti anni in cui il giorno e la notte per me non facevano più alcuna differenza, che il chiuso dei vari uffici mi aveva rubato il piacere di camminare, di sentire il sole e l’aria sulla mia pelle, che mio figlio era cresciuto, ed io dov’ero? Che ero libera senza esserlo, che non avevo più memoria che alle dieci della mattina il sole avesse quella precisa inclinazione e che, udite, udite, andare al mercato a fare la spesa, se non vai a tremila, può essere assai divertente oltre che salutare. Ma quello che più di ogni altra cosa in molti sembrano non comprendere è che io, dopo tutti questi anni di “vita dedicata”, avevo completamente perso i miei bioritmi. Quindi, poiché mi voglio bene, ad un certo punto mi sono ascoltata ed ho dato retta al mio istinto: era una questione di sopravvivenza, non potevo ignorami più.
Meno carriera e più vita.
Sarà per questo che le donne hanno meno possibilità sul lavoro? Perché ad un certo punto i ritmi imposti dagli uomini sono talmente assurdi che arrivi a dirti: ma chi me lo fa fare? Forse si, forse le donne, o almeno alcune donne, ad un certo punto si guardano veramente dentro e si dicono che forse non vale la pena, che il sacrificio è veramente troppo alto e rischi di arrivare alla fine della tua vita avendo dimenticato di viverla sono altissimi. E allora pensi che forse è meglio una passeggiata nel bosco che una sgomitata della collega, e che chi se ne frega, se lo prendesse lei il sorriso compiaciuto del capo, io ritorno alla mia vita, mi rimpossesso dei miei cicli e pazienza se guadagnerò un po’ meno. Tanto poi se non ho tempo per spenderli, di questi soldi, che me ne faccio? Li uso in ansiolitici od anti depressivi come ho visto fare a molti, per tenere il passo, per essere dentro l’ingranaggio insensato di questa società “lievemente” alienata e fuori di testa? Non credo sia una scelta saggia; e poiché leggere i filosofi, per me, non può rimanere unicamente un insieme di nozioni da sfoggiare, io ci medito su e cerco, come poso, di applicare i loro pensieri illuminati alla mia giornata.
Non lo so, non giudico le scelte altrui, ognuno conosce le proprie esigenze e le personali priorità ma io, amici miei, non ne potevo più. Tornerò a lavoro, non posso permettermi oltre questo lusso ma lo farò in modo diverso, con altre premesse, su altri ritmi.
Una volta fuori dal vortice scopri che molto di quello che ti hanno venduto, o che tu, arbitrariamente, hai creduto fondamentale per la tua mera esistenza, era un grande bluff e vedi tutto con altri occhi. E recuperi il tuo tempo, quello si essenziale.



IL LAVORO NOBILITA L'UOMO? DIPENDE...
( Parte seconda)


Ore 13.00, Villa Scipioni.
La villa della mia infanzia, quella vicino a casa, quella che ci arrivi a piedi.
Cielo plumbeo. Entro.
Sembra che non ci sia nessuno. Inizio a camminare. Voglio fare tutto il giro, magari più volte, prima che piova.
Mi guardo intorno non c’è anima viva: mi sembra incredibile. Ogni tanto dei rumori, ma sono soltanto uccelli. Improvviso il canto di un gallo: imperioso.
Stento a crederci. Mi sporgo per vederlo. Non ci riesco ma lui ripete il suo canto ed io mi metto a ridere. Solo a Roma, in pieno centro storico, si può assistere al canto di un gallo. Eppure….
La cosa mi mette allegria e continuo a passeggiare. Non c’è veramente nessuno. Mi sento una ragazzina nel bel mezzo di avvenimento fantastico. La villa dopo quarant’anni è tutta per me.
E per il gallo.
Un ultima occhiata al cancello d’ingresso e poi inizio a saltellare. Salgo su un muretto ed urlo un: EVVIVA E’ TUTTA MIA!!! E poi un: E’ BELLISSIMO!!! Mi sembra un dolce d’assaporare.
Allora corro, zompetto, faccio le giravolte e recupero sensazioni lontane. Ma la vita mi richiama alla realtà: avevo un appuntamento telefonico con un mio amico super impegnato. Mi fermo, provo a chiamarlo ma è troppo impegnato e non mi risponde.
Peccato, se l’avesse fatto avrei portato un po’ di questa meravigliosa pace nella sua aggrovigliata giornata.
Vedi che succede a lavorare troppo: non puoi ritrovarti padrone di un parco né puoi fartelo raccontare.
Certi che ne valga la pena e che non si abbia mai la possibilità di dire qualche no o fare qualche passo indietro rivedendo il proprio vivere?

giovedì 10 gennaio 2008

mercoledì 9 gennaio 2008

America/ parte due


Viaggiare on the road per l’America è una dimensione particolarissima.
E’ un continuo intrecciarsi di sorprese e déjà vu. Le città sembrano ambientazioni cinematografiche e ti sorprendi a scoprire che quello che per te europeo sembra l’ambientazione di un film, per milioni di persone è la quotidianità. Ma ancora più stravagante è trovarti catapultato nella fattoria di Nonna Papera tra piccole chiesette con le tendine, strade prive di abitazioni con una sfilza di cassette della posta, minuscoli ed intimi luoghi di ristorazione con la torta di mele ed il succo di acero, un benzinaio sgangherato con il cane che ronfa all’ombra, un negozio d’antiquariato nel nulla più assoluto. Tutto lento, calmo. Strade che scorrono dritte per ore ed ore e poche macchine ad incrociare il tuo viaggio. Fuori dalle grandi città, in alcuni casi ti sembra un paese disabitato: nessuno che passeggi, nessuno che sembri lavorare nei campi, nessuno fermo, che so, in una piazza, a chiacchierare. L’effetto visivo può essere destabilizzante ed in alcuni casi lo è.







Ma per lasciarsi avvolgere e sorprendere da questa terra è indispensabile che le nostre concezioni di vita europea restino a casa e porsi, di conseguenza, nella concezione mentale che questa è, nonostante tutto ed ancora, una terra di frontiera. E’ nella sua natura, nell’andare avanti, nello scoprire, il vero viaggio. Paradossalmente questo paese del “ tutto immenso ed apparentemente finto” è un luogo di grande spiritualità. Ed è questa la dimensione che secondo me non ti spetti, ed è lì che ti conquista.
Sarà che io avevo un enorme bisogno di perdermi e ritrovarmi ma nessun altro luogo del mondo ha avuto su di me un effetto così dirompente, così forte.
Ogni posto del mondo ha le sue peculiarità e vi assicuro che l’America, proprio per i suoi paesaggi, accompagna chi sa guardarla, a vivere momenti di profonda introspezione.
E’ una terra che emana un’energia incredibile.
Mentre non smettevo di osservarla avevo la netta sensazione che la sua immensità, le mille sfumature dei suoi colori, la potenza dei suoi oceani, entrassero dentro di me arricchendo anche le mie cellule delle stesse forze, della stesse meraviglie.
E tutto ciò tranciava legacci mentali, restituendomi un profondo senso di libertà.
Altri luoghi del mondo mi hanno emozionato e fatto riflettere e ve li racconterò, ma questa terra mi ha incantato e lanciato verso dimensioni interiori difficilmente ripetibili.
Per questo non posso fare a meno d’amarla, profondamente.