Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

mercoledì 20 aprile 2011

Scrivere sui tetti



Scrivere sui tetti come una gatta.
Il naso sale ad annusare la luna e poi ridiscende nel bagliore di un foglio.
E' tutto silenzio intorno a me. Solo uno sporadico vociare che sale dai vicoli o da qualche finestra lasciata aperta.
Null'altro.
Ci sono luoghi e momentii che sembrano non esistere negli orizzonti della mia vita, ma poi si materializzano così, improvvisamente, quando meno me l'aspetto, quando non li cerco. Ed allora chiudo gli occhi, respiro forte e poi li riapro, piano, per paura che la bellezza che sto vivendo ritorni tra la fantasia di una favola che pensavo non potesse essere reale

venerdì 15 aprile 2011

Il messaggio nella bottiglia



Oggi è un giorno semplice, un giorno banale ma non è vero, nessun giorno lo è.
Ferma contemplo il mare, il mare della vita, i suoi flussi, l’andare e venire che trascina via, porta, a volte restituisce.
Quante bottiglie ho lasciato andare sperando che un giorno tornassero da me con una risposta…
Quanti giorni a sbirciare il mare mentre la vita ti pungola, ti spinge, ti strattona verso e devi muoverti ed agire anche se non sai.
Però come fai a dire alla vita di aspettare? Non puoi, non si può.
Ed allora, anche se non smetti di sbirciare il mare, vivi.
Vivi e scegli ed affidarti al buon senso, a qualche buon consiglio, ma principalmente a te, a ciò che senti salire dalla pancia e divenire voce che ti guida. Anche quando quello che ti dice, dove ti porta sembra assurdo, spesso folle, di certo non sempre consono ed giudizi si fanno taglienti, a volte crudeli, le parole ingiuste perché non ti adegui, non ti omologhi. Perché scegli quel tuo sentire impalpabile che conosci eppure non vedi, che neanche tu vedi.
Ma a chi dai retta? Ad una voce? Al tuo istinto? Pazzia!
La strada è tortuosa, difficile, traballi, inciampi, a volte sbatti, ti fai male, ma la strada è quella e tu lo sai, lo senti, per lo più te lo auguri.
Gli altri parlano, le loro voci a volte ti confondono, però quella sottilissima voce interiore è imperiosa e vince su tutte. Lei sa, forse. Tu no, ti affidi, coraggiosamente le credi e continui ad amare, a camminare, a scegliere per te e poi non più solo per te. E tutto diventa ancora più difficile, le voci si moltiplicano, gli schemi ti risucchiano, ma tu ti aggrappi al tuo invisibile sentire e continui ad amare, a camminare, a scegliere per te e non solo per te e speri, profondamente speri che quella voce non stia sbagliando. Ma non puoi fare a meno di seguirla, quasi fosse un incantesimo. Ed ogni tanto sbirci il mare prima o poi, speri, qualcuno ti risponderà…

Ad aspettare davanti al mare quanti giorni? A volte anni.
Poi arriva un giorno semplice, banale ma lo sappiamo, nessuno giorno lo è. Il mare e quel giorno.
Una bottiglia sbatte addosso ai tuoi piedi, no, due bottiglie, le ha portate un’onda e non l’hai viste arrivare.
Le afferri veloce, non vuoi che la corrente le riporti via.
Le guardi col cuore che batte, batte forte. Delicatamente tiri fuori le risposte, prima una e poi l’altra. Sono risposte a domande antiche, lo capisci dalla carta. Hanno viaggiato per un tempo lungo, molto lungo.
Le leggi, le rileggi, guardi di nuovo il mare, ti siedi e lasci che le lacrime salgano dalla pancia, dal cuore, su su fino alle ciglia e poi oltre e di nuovo giù, libere fin dove vogliono: viso, collo seno, mani, adori quelle lacrime, il loro sapore.
Il corpo si scioglie dalla fatica del cammino, dal peso di tante parole, dal dolore delle inevitabili ferite. Percepisci uno sguardo, sollevi i tuoi occhi, incroci quelli del tuo istinto, quella vista che ha guidato il tuo insicuro incedere.
Aspettano.
Gli sorridi.
Non hai sbagliato…non ha sbagliato.

mercoledì 6 aprile 2011

Sguardo oltre la pelle


Corpi esposti senza pudore, piedi costretti su tacchi importabili che impediscono di camminare figurarsi di ballare. Volti acerbi o maturi truccati oltre misura. Uomini giovani e meno giovani che osservano con occhi rapaci le statuine traballanti che sfilano davanti a loro.
Era una discoteca e sembrava un’arena in cui si muovevano tori e toreri. Di certo, allargando lo sguardo, poteva rappresentare una metafora. In questo strano mondo ognuno di noi si muove nello spazio che lo circonda cercando di fare il proprio gioco. Ma qual è il gioco?
Le finalità che muovono ognuno di noi nei rapporti interpersonali potrebbero, per lo più, essere ridotte ad una formula elementare: essere amati/accettati.  E per raggiungere questo scopo le proviamo tutte, ma proprio tutte, cadendo però in un subdolo paradosso che inficia frequentemente il nostro intento:  il timore di svelare chi siamo, nella non remota possibilità di non sapere esattamente chi siamo. In questa epoca non proviamo, a differenza del passato, un grande pudore nell’esibire il nostro corpo, né ad offrirlo per un reciproco soddisfacimento sessuale. Abbattuti e risolti molti tabù ed impedimenti procreativi ci siamo lanciati in questa sensoriale esperienza con una certa ingordigia liberatoria. E’ stata una grande conquista che però non comporta una consequenziale conquista del soddisfacimento amoroso. Ed è qui che scatta il problema. Appagati i sensi rimane un'indefinta percezione d' insoddisfazione alla quale cerchiamo di porre rimedio usando ancora il corpo ed ancora i sensi. Ma quel languore, una specie di mancanza, non si placa perché in fondo ciò che desideriamo è essere amati ed il corpo rimane una barriera tra noi e l’altro. Per amare ed essere amati bisogna oltrepassare la pelle ed aver il coraggio di mostrare all’altro qualcosa di assai più intimo di un corpo nudo: dovremmo concedergli di guardare la nostra anima.
Rischiosissimo a detta dei più, inevitabile se dai sensi vogliamo approdare ai sentimenti. Ma soffriamo un’istintiva paura e tendiamo a celare l’intimità fragile di cui siamo proprietari. Siamo frenati dal timore di venir feriti, derubati, non compresi e ci nascondiamo.
Vorremmo che qualcuno intuisca le nostre meraviglie in modo divinatorio, giustificando i nostri limiti, comprendendo le nostre difficoltà, senza ovviamente esporre il nostro amabile cuore a dei veri rischi. L’altro dovrebbe compiere un atto di fede senza conoscerci, senza che gli sia veramente permesso d’entrare nella nostra interiorità. Vogliamo dedizione e non siamo disposti a dare fiducia.
Incredibile no?
E in attesa che questo miracolo si compia, quello che ci sembra più semplice e meno pericoloso fare è esporre il nostro corpo, abbellirlo, pitturarlo, scolpirlo concederlo. Sorprendentemente l’intimità fisica non c’impensierisce, quella dell’anima sì. Eppure è quella la vera meraviglia a cui ambiamo, l’incanto sublime, magari temporaneo di cui vorremmo essere protagonisti almeno una volta nella vita. Ma come possiamo riuscirvi se noi stessi abbiamo paura di sprofondare oltre la nostra pelle, quasi temessimo di scoprire chi siamo?
E questo è un ulteriore paradosso: pur guardandoci con diffidenza od insoddisfazione pretendiamo che l’altro ci guardi con meraviglioso incanto. Che strani tipi siamo…ci teniamo a galla, navighiamo a vista, senza immergerci mai o quasi mai né in noi né nell’altro.
Troppo faticoso mi si dice in genere ed è vero. Ma allora come pretendiamo di essere visti  celandoci, essere capiti senza perdere tempo a capirci. Come può l’altro comprenderci la dove anche per noi regna solo il caos? Imputiamo agli altri delle incapacità, una disattenzione che a volta ci appartiene.
Vaghiamo dunque per questo mondo offrendoci all’altro come potrebbe farlo un bambino pieno d’inconsapevolezze ed ingenuità. Cercando, allo stesso tempo, d’ingannarlo con un’immagine e non seducendolo per ciò che siamo. Vorremmo essere amati a prescindere non amandoci a prescindere.
Ci raccontiamo un sacco di storie, le proponiamo agli altri ma che paura andare a scoprire quali sono i nostri effettivi limiti, le zone d’ombra, gli inevitabili difetti. Però poi, a ben pensare, come possiamo scoprire le vette che potremmo raggiungere se non abbiamo la forza e l’ardire di esplorarci? La vita è un viaggio e non conoscersi e non permettere a nessuno di conoscerci profondamente rende, a mio parere, quasi inutile la gran fatica che comporta esistere.