Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

mercoledì 22 luglio 2009

La capacità d'amare e di essere amati

I tre episodi di cui vi ho parlato nel post precedente, mi hanno fornito lo spunto per riflettere ancora una volta su quanto sia il nostro modo di guardare il mondo a determinare ciò che di esso saremo in grado di vedere. Unendo due stralci di libri di autori diversi vi propongo quindi due finestre psicologiche e filosofiche lontane tra loro, ma che, a mio avviso, ci conducono inevitabilmente allo stesso punto: tutto parte da noi, dalle nostre esperienze, ma la soluzione non è mia esterna a noi, al contrario è sempre dentro di noi, che ci piaccia o no.

Tratto da “L’alchimia emotiva” di Tara Bennett- Goleman

Un aforisma zen recita:

“ Per il suo amante una bella donna è una delizia;
per un monaco una distrazione;
per una zanzara, un buon pasto.”

“Quindi, il modo in cui le cose ci appaiono dipende dalle lenti o dai filtri con cui le guardiamo. Alcuni di questi filtri sono temporanei, mentre altri possono durare tutta la vita continuando a condizionare il nostro senso della realtà. Gli antichi psicologi buddihisti ritenevano che alcuni stati mentali fossero “sani” ed altri “insani”. La loro regola empirica per classificarli era semplice ma profonda: bastava stabilire se lo stato mentale conduceva alla pace interiore, oppure all’agitazione. Uno schema è una serie ben strutturata di pensieri e sentimenti negativi che ruotano intorno a bisogni fondamentali, ma che ci inducono a pensare e a comportarci secondo modalità che non permettono l’appagamento di quei bisogni. Essi si perpetuano in un ciclo distruttivo.”

I schemi acquisiti, in genere nell’infanzia, ci conducono quindi a attuare modalità comportamentali che non smettono di farci soffrire ma che, essendoci note, ci fanno sentire “paradossalmente” a nostro agio. Queste modalità però, ci impediscono inevitabilmente di comprendere che è il nostro schema mentale ad infilarci nelle situazioni negative che tanto temiamo, e non una realtà crudele che si ostina a nostro svantaggio. Come dire siamo noi stessi artefici dei nostri patimenti.
Questo è vero soprattutto nei legami affettivi, nei quali spesso ci sentiamo vittime e non attori di ciò che viviamo. Eppure, seguendo il ragionamento di Erich Fromm nel suo libro “ Larte d’amare” scopriamo che: “L’amore è un sentimento attivo, non passivo; è una conquista e non una resa. Il suo carattere attivo può essere sintetizzato nel concetto che amore è soprattutto “ dare” e non ricevere.
Il malinteso più comune è che dare significhi “cedere” qualcosa, essere privati, sacrificare. La persona il cui carattere non si è sviluppato oltre la frase ricettiva ed esplorativa, sente l’atto di dare in questo modo. Il tipo “commerciale” è disposto a dare, ma solo in cambio di ciò che riceve. La gente arida sente il dare come un impoverimento. Per la persona attiva, il dare ha invece un senso completamente diverso. Dare è la più alta espressione di potenza. Nell’atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare da più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell’atto mi sento vivo. E’ inutile sostenere che sentire l’amore come atto di dare non dipende dal carattere dell’individuo, al contrario, presuppone la conquista di una posizione prevalentemente produttiva; in quest’orientamento l’individuo ha vinto l’indipendenza, l’onnipotenza narcisistica, il desiderio di sfruttare gli altri o di tesaurizzare, e ha tratto fede nei propri poteri umani, il coraggio di fare assegnamento nel conseguimento delle proprie mète. Nella misura in cui queste qualità mancano, egli ha paura di dare se stesso, e quindi di amare.”

Un breve spunto per un argomento che merita ben altre estensioni di lettura, ma che volevo proporvi come pretesto di un eventuale e più completo approfondimento. E’ ovvio che i comportamenti che ci contraddistinguono hanno radici diverse e sono legate alla nostra storia personale. Ma come avete potuto intuire dalle poche righe lette, entrambi gli autori giungono per strade diverse alle medesime conclusioni: il senso di mancanza d’amore è spesso determinato da una nostra incapacità d’amare.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

I will not acquiesce in on it. I assume warm-hearted post. Expressly the title-deed attracted me to study the sound story.