Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

venerdì 31 luglio 2009

Difficile non credere...

"Passo da te!”, ma deve averlo dimenticato un minuto dopo.
Me ne rendo conto perché, senza che dica una parola, l’intimità che la lega all’uomo che le è di fronte non mi è sfuggita.
Lei è decisamente over negli anni e lui un bell’uomo poco oltre la cinquantina.
Nessuno, vedendoli, potrebbe intuire il sentimento che li unisce. Frotte di pregiudizi c’impediscono di sfiorare ciò che non è comune: l’amore nel tempo degli over non esista più, una “donna particolarmente adulta” non può far innamorare un uomo “ molto più giovane” o ancor meno che, essendo entrambi persone “normali”, possano, da diversi anni, vivere una splendida storia d’amore.
L’amore, infatti, nel suo senso più sublime e scevro da sovrastrutture non rientra nel copione che ci è gentilmente offerto ogni giorno, ma tant’è…
Sapevo di questo sentimento, tuttavia era per me solo un racconto del quale, conoscendo la protagonista, non mi stupivo. Con lei tutto è possibile, la sua mente ed il suo cuore vivono una giovinezza che non consce dati anagrafici. Ma poi l’ho visto e percepito e, come accade sempre, la realtà ha superato la fantasia delle immagini che io avevo disegnato dentro di me mentre lei, dolcemente, mi narrava questa meravigliosa storia d’amore.
Abbiamo scambiato poche frasi e poi lui, con un’eleganza dall’atri tempi, si è congedato lasciandoci alle nostre chicchere.
“ Non dire nulla” le ho detto “ ho capito” e lei mi sorriso con due occhi che risplendevano di una felicità che in tanti anni non mi era mai capitato di scorgere.
Tra noi le parole sono sempre servite a poco, anche se nelle mille argomentazioni degli anni ne abbiamo usate a bizzeffe. Ma questa volta erano veramente inutili: lei era felice e turbata ed emozionata come una giovane donna che vive il suo primo grande amore ed è un po’ così, credo. Arriva un momento oltre il quale tutto torna ad azzerarsi, l’inutile scivola via e si va all’essenza delle cose, realmente.
“ E’ un amore difficile, non posso far finta di non avere gli anni che ho, ma ti giuro, in questo momento potrei arrivare in Cina a piedi.”
Un istante dopo è arrivata una sua amica e si è seduta accanto a lei. Le ho osservate mentre parlavano, ho guardato i loro volti, la luce che avevano nello sguardo, la femminilità che le avvolgeva, gli argomenti che la nuova arrivata aveva a cuore e quello che vedo passare nei pensieri ancora rapiti della mia amica ed ho visto l’abisso che le separava.
Escludendo gli inevitabili segni del tempo erano emotivamente e mentalmente ad anni luce di distanza: una ancora dentro la propria vita e l’altra era già rassegnata ad un mesto addio.
Ed ho compreso quello che la mia amica mi ripete ormai da tempo:” A questo punto della mia vita, per quanto ho capito fin’ora, ricordati: l’unica cosa che conta veramente è l’amore, non c’è nient’altro.
Ed è una frase che di per se racchiude un ulteriore insegnamento: “ Per quello che ho capito fin’ora.”
Come a sottolineare, domani posso comprendere qualcosa che oggi non so e nonostante l’età ho ancora tempo per concedere alla vita d’insegnarmi.
E sorridevo ripensando alle mille certezze che invadono la mente di gente assai più giovane, gente che sulla propria pelle porta i segni di ben poche battaglie.
Si possono fare mille congetture, classificare i personaggi di questa storia con le più svariate parole, racchiuderli dentro a dimensioni che ci facciano sentire dentro ad un rassicurante "spiegazione”, ma io ho visto quegli occhi e conosco la delicatezza del sentimento che lega queste due persone. E sono felice di poter pensare e credere che veramente nella vita tutto può succedere, che non esistono limiti di tempo, di età, di ruoli. Non esiste nulla che c’impedisca di essere quello che sentiamo di essere e di vivere dimensioni emotive che ci rendono felice. Non esiste nulla se non le infinite limitazioni che noi stesi imponiamo ai nostri giorni, inseguendo con le sole parole o blandi sogni ciò che potrebbe divenire possibile se solo avessimo coraggio. Quel coraggio che potremmo paradossalmente definire, paura di vivere e di essere.

mercoledì 22 luglio 2009

I tre doni

Dal mio viaggio ho riportato piccoli doni e tre di essi avevano per me un significato speciale.
Solo uno era un oggetto ed aveva impegnato la mia ricerca per molto tempo, anche se era una piccolissima cosa.
Gli altri due doni li avevo invece cercati accuratamente dentro di me, esplorando i miei sentimenti e scegliendo con cure le parole con cui desideravo regalarli a chi nel mio cuore, magari senza saperlo precisamente, occupa uno spazio importante.
Piena di gioia e carica di un emozionato entusiasmo sono quindi tornata a Roma ed ho iniziato a consegnare i miei regali. La prima persona ha accolto il dono delle mie parole comprendendone perfettamente il significato, nella consueta alchimia emotiva che contraddistingue ogni nostro incontro. Solo un velo di leggero rimpianto per una notizia inaspettata ha rammaricato il suo volto, fin lì sorridente. Ma la condivisione di quella notizia era parte del dono ed anche se forse dolorosa, è stata accetta con l’intelligenza di cui mai, in tutti questi anni, ho dubitato.
Il secondo regalo l’ho consegnato ieri, era un regalo dovuto, ma nonostante ciò l’avevo scelto con attenzione mettendoci pur sempre qualcosa di me. La persona l’ha scartato rispondendo ad una telefonata senza degnarmi, nella confusione della sua improrogabile conversazione, né di un sorriso né di un “grazie”, ed anzi abbandonandolo subito dopo con la più assoluta noncuranza. Forse, mi dico, veramente convinta che facesse parte di un consueto obbligo e quindi privo di un reale valore. Mentre assistevo a questo triste prologo, ripensavo ai borbottii di mio figlio che, camminandomi dietro tra uno sbuffo e l’altro nel caldo di una Spagna arroventata, non faceva che ripetermi: “Mamma ma che perché questa persona si aspetta un regalo. Chi pensa di aver diritto ad un regalo non lo merita. Compra una cosa e fregatene.” Non ho ancora avuto il coraggio di dirgli quanto avesse ragione.
La terza persona in realtà non l’ho incontrata, non ancora almeno. In realtà le ho detto che “morivo dalla voglia di dirgli delle cose, che avevo desiderio di condividere dei pensieri e che era una di quelle volte in cui, forse, era importante non lasciare le parole inascoltate, perché poi l’attimo passa e…” Ma che dire, non ha trovato il tempo né la voglia di dedicarmi cinque minuti della sua attenzione ed il mio regalo è ancora chiuso nel mio cuore, anche se ormai e come un grande salone dopo una festa: ha perso l’elettricità dei preparativi ed è triste come un ballo a cui non ha partecipato nessuno.
Ma perché vi ho raccontato tutto ciò? Perché a seguire troverete un altro post in cui riporterò dei brani tratti da due libri in cui si parla della nostra capacità d’amare. E i tre incontri di cui vi ho parlato tracciano invece sui fatti le nostre capacità di saper comprendere e dare amore. Tanto per chiarire i concetti: due di queste persone non fanno che ripetere che l’amore le ha deluse e che il loro valore non è stato compreso. E lo fanno continuando a leccarsi le ferite, tacciando gli altri d’incapacità d’amore. Peccato, che a loro volta non sono in grado di alzare gli occhi dalle famose ferite e vedere o riconoscere che le cose, forse, sono diverse da quello che i loro schemi mentali gli impongono di credere. Come dire, è più facile dirsi sfortunati che riconoscere che probabilmente, a nostra volta, davanti ad un gesto spontaneo noi non siamo stati in grado di restituire neanche un sorriso.


La capacità d'amare e di essere amati

I tre episodi di cui vi ho parlato nel post precedente, mi hanno fornito lo spunto per riflettere ancora una volta su quanto sia il nostro modo di guardare il mondo a determinare ciò che di esso saremo in grado di vedere. Unendo due stralci di libri di autori diversi vi propongo quindi due finestre psicologiche e filosofiche lontane tra loro, ma che, a mio avviso, ci conducono inevitabilmente allo stesso punto: tutto parte da noi, dalle nostre esperienze, ma la soluzione non è mia esterna a noi, al contrario è sempre dentro di noi, che ci piaccia o no.

Tratto da “L’alchimia emotiva” di Tara Bennett- Goleman

Un aforisma zen recita:

“ Per il suo amante una bella donna è una delizia;
per un monaco una distrazione;
per una zanzara, un buon pasto.”

“Quindi, il modo in cui le cose ci appaiono dipende dalle lenti o dai filtri con cui le guardiamo. Alcuni di questi filtri sono temporanei, mentre altri possono durare tutta la vita continuando a condizionare il nostro senso della realtà. Gli antichi psicologi buddihisti ritenevano che alcuni stati mentali fossero “sani” ed altri “insani”. La loro regola empirica per classificarli era semplice ma profonda: bastava stabilire se lo stato mentale conduceva alla pace interiore, oppure all’agitazione. Uno schema è una serie ben strutturata di pensieri e sentimenti negativi che ruotano intorno a bisogni fondamentali, ma che ci inducono a pensare e a comportarci secondo modalità che non permettono l’appagamento di quei bisogni. Essi si perpetuano in un ciclo distruttivo.”

I schemi acquisiti, in genere nell’infanzia, ci conducono quindi a attuare modalità comportamentali che non smettono di farci soffrire ma che, essendoci note, ci fanno sentire “paradossalmente” a nostro agio. Queste modalità però, ci impediscono inevitabilmente di comprendere che è il nostro schema mentale ad infilarci nelle situazioni negative che tanto temiamo, e non una realtà crudele che si ostina a nostro svantaggio. Come dire siamo noi stessi artefici dei nostri patimenti.
Questo è vero soprattutto nei legami affettivi, nei quali spesso ci sentiamo vittime e non attori di ciò che viviamo. Eppure, seguendo il ragionamento di Erich Fromm nel suo libro “ Larte d’amare” scopriamo che: “L’amore è un sentimento attivo, non passivo; è una conquista e non una resa. Il suo carattere attivo può essere sintetizzato nel concetto che amore è soprattutto “ dare” e non ricevere.
Il malinteso più comune è che dare significhi “cedere” qualcosa, essere privati, sacrificare. La persona il cui carattere non si è sviluppato oltre la frase ricettiva ed esplorativa, sente l’atto di dare in questo modo. Il tipo “commerciale” è disposto a dare, ma solo in cambio di ciò che riceve. La gente arida sente il dare come un impoverimento. Per la persona attiva, il dare ha invece un senso completamente diverso. Dare è la più alta espressione di potenza. Nell’atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare da più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell’atto mi sento vivo. E’ inutile sostenere che sentire l’amore come atto di dare non dipende dal carattere dell’individuo, al contrario, presuppone la conquista di una posizione prevalentemente produttiva; in quest’orientamento l’individuo ha vinto l’indipendenza, l’onnipotenza narcisistica, il desiderio di sfruttare gli altri o di tesaurizzare, e ha tratto fede nei propri poteri umani, il coraggio di fare assegnamento nel conseguimento delle proprie mète. Nella misura in cui queste qualità mancano, egli ha paura di dare se stesso, e quindi di amare.”

Un breve spunto per un argomento che merita ben altre estensioni di lettura, ma che volevo proporvi come pretesto di un eventuale e più completo approfondimento. E’ ovvio che i comportamenti che ci contraddistinguono hanno radici diverse e sono legate alla nostra storia personale. Ma come avete potuto intuire dalle poche righe lette, entrambi gli autori giungono per strade diverse alle medesime conclusioni: il senso di mancanza d’amore è spesso determinato da una nostra incapacità d’amare.

domenica 19 luglio 2009

Si torna al quotidiano




Ed anche queste vacanze spagnole sono finite. Ho esplorato paesaggi e città, annusato profumi e vissuto sensazioni, provato sentimenti ed incontrato persone reali e simboliche. Ho vissuto, insomma, lontano dal mio consueto ma comunque nel mondo a cui appartengo. Come ho già detto, per me un viaggio non è mai solo un viaggio o, come diceva qualcun altro, “ Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”.
Tutto quello che ho provato è dentro di me e, come accade dopo ogni avventura, ora decanterà e lentamente ne assaporerò le bellezze ed i benefici. Ora però, il consueto mi richiama a se e dovrò tornare alla famosa “vita reale”, fatta di regole e schemi ben definiti, in un sociale sempre pronto ad organizzare, stabilire ed assoggettare ai suoi imprescindibili bisogni. Fortunatamente la fantasia non mi manca e, anche quando sarò relegata nel dovere, nessuno potrà impedirmi di volare in quello che invece è imprescindibile per me.
In questi ultimi giorni di ferie ho riguardato le foto, ho ripensato all’appena vissuto e ho avuto modo di rimettere ordine tra i pensieri, ed anche questo l’ho già scritto. Ma c’è una domanda che continua fluttuare nella mia testa: quanto ci metterà il famoso "quotidiano" ad ingarbugliare di nuovo tutto?
Quando mi distacco dal “solito” io torno lentamente nel “mio” e ritrovo i ritmi, la centralità con quello che appartiene unicamente a me ed è una sensazione d’incredibile libertà. Oggi, per rendere più dolce il ritorno in questa porzione di vita, ho dwciso di passeggiare un po’ nella mia adorata Roma incontrando di nuovo i suo scorci, i suoi odori, le strade che da sempre accompagnano le mie giornate. Sono tornata a casa insomma e non posso dire che la sensazione non mi sia piaciuta. Tornare nel proprio ha il suo fascino, le sue rassicurazioni. Ho ritrovato gli amici, le nostre risate, i nostri infiniti discorsi e questo è il calore che mi consola quando il dispiacere per la fine di un viaggio attanaglia in una morsa il mio cuore vagabondo.
Ma oggi è ancora vacanza ed i tempi sono, per qualche ora ancora, quelli che sento giusti per me. Domani però la sveglia suonerà ed il contesto in cui vivo e lavoro si riapproprierà largamente del mio tempo ed i ritmi saranno, in gran parte, stabiliti da standard noti. Gli orizzonti, almeno quelli visivi, torneranno a ristringersi e la mia attenzione sarà catapultata in altro. Questo è quello che devo alla società per poter vivere i spazi della mia vita privata e la creatività vacanziera. “Do ut des” direbbero i latini o forse ancora un più appropriato “Do ut facies”.
Lo strappo dalla libertà è sempre doloroso, così come lo è, all’inizio di una vacanza, sciogliere i nodi che mi tengono legata al consueto. Eppure sono felice, ho avuto il privilegio di vivere quello che più amo: l’avventura del non sapere cosa accadrà. Adoro questa dimensione, l’effetto che l’ignoto farà su di me, i gusti che assaporerò, i colori che mi riempieranno gli occhi. E poi la possibilità che non smette mai di emozionarmi: l’incontro con gli spazi infiniti. Dimensione che ahimè, nella nostra stretta e sovraffollata Italia, è ormai quasi chimera. Ecco, in Spagna questa sensazione è ancora vivibile ed io ne ho fatto ingordamente indigestione. E’ solo in questa condizione fisica infatti, quando nulla si frappone al correre del mio sguardo, che io sento la retina distendersi e la mente sgranchirsi, come dire, stiracchiarsi. Sarà a quegli spazi che tornerò ogni volta che la porzione di cielo visivamente concessami, tra il caos di questa città, non mi basterà più.
Ma qui torniamo alla domanda iniziale: quanto ci metterà il consueto a ingarbugliare il cielo sopra di me?

lunedì 13 luglio 2009

La Spagna inaspettata

La mia meravigliosa valigia gialla si sta per richiudere, domani si riparte, questa volta destinazione casa.
Non c’è viaggio che non mi abbia cambiato almeno un po’, ma, come ho letto da qualche parte “Ci sono viaggi che sembrano
trarre linfa vitale dal momento della vita che stiamo vivendo” .
Avevo voglia di Spagna senza conoscerne il motivo, senza aver volutamente approfondito ciò che avrei visitato se non per grandi linee. Non avevo quindi particolari aspettative, né avevo fantasticato sui paesaggi o possibili emozioni. Avevo unicamente un forte desiderio di scendere verso le sue terre più assolate, nel sud del suo cuore, nella profondità della sua essenza.
Che fosse una metafora di un viaggio diverso era abbastanza chiaro, ma davvero non avevo definito con chiarezza alcun significato. In verità non lo faccio mai, preferisco lasciarmi sorprendere e sedurre dalla realtà più che dall’immaginazione.
Ma più la macchina puntava a sud e più una strana sensazione iniziava a crescermi dentro, autonomamente: mi stavo emozionando, come per un incontro importante.
L’Andalusia mi ha colto quasi alla sprovvista e mi ha stregato. Non è solo “Spagna”, è una miscela perfetta tra due mondi che, per molti versi, avevano trovato nei secoli passati un equilibrio quasi perfetto: la sensualità araba aveva incontrato la storia occidentale, fondendosi in un’esplosione di bellezza ed atmosfere sospese che possono lasciare senza parole. Non si visita un solo paese ci s’inoltra in due universi ben distinti eppure mescolati e si rimane abbagliati, o forse, come nel mio caso, sedotti. La raffinata arte araba è un incanto ininterrotto di architetture meravigliose, la parte intellettualmente fascinosa. La terrà con i suoi colori, l’intensità dei profumi, la dolce violenza dei suoi paesaggi è la carnalità istintuale dei sensi, percepibile anche nella gente che l’abita.
E più questo gioco vibrava davanti ai miei occhi e più io mi abbandonavo ai misteri di una cultura in parte incomprensibile. Le sue musiche, i suo canti dolenti, i ritmi lenti e tuttavia eccitati si stavano infiltrando nel mio sangue accendendo sensazioni. Ne leggevo la storia lentamente, non volevo essere influenzata da descrizioni altrui, volevo sentire la mia Spagna, cercare dentro il mio istinto le spiegazioni ad usanze o comportamenti sconosciuti e a volte contraddittori. Ed ho compreso, lasciando che anche ciò che non mi piaceva mi spiegasse i suoi perché ed ora so, ho incontrato ciò che cercavo. Il viaggio nel suo itinerario è quasi concluso, ma non lo è per ciò che mi ha donato, per quello che di profondamente intimo porterò con me e che sperò rimarrà mio per sempre.

sabato 11 luglio 2009

La noce

Nella caotica notte madrilena ho incontrato uno strano tipo senza eta, aveva capelli lunghi e bianchi ed una folta barba. Per parlare scriveva delle piccole frasi sui bordi di un giornale. Abbiamo comunicato così per un pò: io parlavo e lui scriveva. Poi ha tirato fuori una noce è mi ha chiesto di mangiarla insieme. Non l'ho fatto, un pregiudizio igienico me l'ha impedito. Lui mi ha fissato a lungo, deluso e senza più guardarmi negli occhi mi ha scritto un biglietto, questa volta usando un pezzetto di carta pulita prerso da un tacquino. Una metafora nel gesto stesso. Non ho ancora compreso completamente il significato un pò contorto del suo messaggio nel quale mi parla di saper condividere, ma la sensazione è esattammente corrispondente a quella parola: condivisione. Non sono stata capace di condividere, non totalmente ed ho la netta convinzione di aver perso un'occasione, pur avendo appreso una lezione. " Scusami" gli ho ripetuto più volte, ma la noce continuavo a non mangiarla. Scusami ripeto ora, saprò riuscirci se mai ti rincontrerò...

martedì 7 luglio 2009

Profumo di uomo

Il navigatore ha deciso che l’albergo a Siviglia lo dobbiamo trovare da soli. Forse, penso, il caldo ha stesso anche lui. Spazientita scendo quindi dalla macchina e vado in cerca di un indicatore umano. Fuori i gradi sono ­più 38 ed il mio corpo accusa il colpo.
Scelgo una direzione a caso e mi fermo ad un bar. Un uomo è inchinato vicino ad un bimbo seduto, in inglese chiedo informazioni, lui mi guarda pensando e poi scuote e la testa dicendomi di non ricordare.
Il caldo opprime i pensieri e folate di aria bollente penetrano in ogni poro della mia pelle.
Sconsolata lo saluto e riprendo a camminare, oggi gli indicatori non sono con me, continuo a pensare.
Faccio alcuni passi e lui mi chiama: “Sr.ta me he acordado!”
Torno indietro ed il cuore si apre alla speranza, forse questo benedetto albergo lo trovo.
Mi avvicino di nuovo e lui mi guarda fissando i miei occhi e senza fretta ma con decisione mi svela la mappa di quel labirinto di vie.
Mi parla avvicinandosi ancora un poco e forse sarà colpa del caldo, dei suoi occhi scuri che sembrano accarezzarmi languidamente, mai il suo odore mi investe inaspettato ed io mi distraggo.
Non so se è la sua pelle o il suo alito, ma ha un profumo forte, intenso ed indecifrabile che arriva alla mente come una sferzata di aria fresca ed insieme sensualmente maschile; un profumo di tabacco al cedro, se mai ne esistesse uno, deciso e garbato come la sua voce eppure terribilmente virile ed io quasi vacillo non comprendendo più una sola parola.
I suoi occhi non mi lasciano per un solo istante ed io cerco di concentrarmi sulle sue indicazioni, ma è uno sforzo indicibile, avrei voglia di chiudere gli occhi e rimanere lì ad ascoltare la sua voce ed il suo profumo.
Il sole oltre il fresco degli alberi brucia il mio corpo mentre mi allontano continuando a sentire il suo odore.
Può un profumo raccontare un uomo?

sabato 4 luglio 2009

La terra

La bussola stretta tra le mani ed il cuore che segue docile il suo indicare.
Il sole è alto, splendido ed accecante.
Le città sono alle mie spalle od oltre ciò che posso vedere.
Intorno a me ora solo terra rossa e l’oro del grano.
Tamburi, fremiti di sonagli e sussurri di voci.
Questa è la musica della terra, una melodia di suoni semplici che richiamano il battito del cuore e la corsa del sangue.
Questa la danza lenta e sensuale che sento muoversi dentro di me, ed io seguo il suo ritmo, il mio ritmo.
Incontrare le forze della terra vuol dire compiere un viaggio misterioso che trascina lontano, all’essenza ancestrale di ogni donna.
Ma una donna non è mai una sola donna, è un miscuglio che si compone e scompone continuamente.
E’ un fuoco che non può impedirsi di ondeggiare, è luce nel cammino della propria anima e calore che accende il cuore.
La terra è me.

mercoledì 1 luglio 2009

Incontrarsi

Due occhi che s’incrociano, un sorriso di gentile cortesia, ed un probabile ciao che quasi non ricordo. Non molto di più, eppure ora potrei raccontare di te, del tuo sorriso che esplode improvviso, degli occhi che brillano quando sembri felice. Come sia possibile non saprei dirlo, gli incontri non si decido, accadono. Ed solo in questi casi che forse, presi alla sprovvista, i cuori si ritrovano a parlare, semplicemente parlare. E la parola lasciata nuda e sola acquista forza ed una vivacità emotiva che lascia spaesati. Poteva non accadere, tutto questo poteva scivolare via disperso nella folla della vita, rimanendo uno dei tanti regali sfiorati ma su cui il nostro sguardo non aveva avuto il tempo di posarsi. Che bello sapere che abbiamo saputo dedicarci questo tempo e questo incredibile regalo.