Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

lunedì 31 marzo 2008

Barcellona

E’ da un po’di giorni che mi torna in mente l’atmosfera di Barcellona e poiché, questa piccola nostalgia non passa, forse è il caso di parlarne.
Ho visitato Barcellona lo scorso anno. Era una meta che sembrava sfuggirmi dalle mani e questo accresceva la mia voglia di visitarla. E devo dire che, come mi accade per ogni viaggio, ho sempre bisogno che le sensazioni decantino dentro di me. E’ accaduto anche in questo caso e da qui si spiega l’atmosfera di alcuni luoghi della città che continuano a rimbalzarmi nella testa.Barcellona non mi ha stregato, anzi, inizialmente il caos immondo dei suoi luoghi più rinomati mi ha probabilmente fuorviato. Mi sembrava una città adatta ai bagordi notturni, elegante nelle sue strade principali, pazzerella ed originale nelle costruzioni di Gaudì ma incapace, veramente incapace di farmi innamorare. Mancava l’atmosfera, quella giusta per me, e mi sembrava così assurdo averla desiderata per diversi anni e poi, una volta raggiunta, non riconoscerla nelle mie sensazioni fantasticate. L’ultimo giorno del nostro soggiorno però, un richiamo forte ed insistente mi ha spinto a deviare dai percorsi stabiliti
Qualcosa mi diceva che stavo partendo da questa città senza averla compresa. C’era una via, una traversa della Rambla, che avevo notato nei giorni precedenti, un piccolo vicolo, anonimo, che però, in qualche modo, mi sussurrava di non ignoralo. Dovevo inoltrami per il suo stretto e ombroso camminamento come se quella fosse la porta per arrivare nella parte intima che stavo cercando.

Trascinandomi dietro mio marito, che sorride sempre ma dolcemente asseconda queste mie stranezze, ho seguito questo richiamo e poi il filo invisibile che mi guidava verso stradine appartate. E lì, solo tra quelle viuzze, credo di aver inspirato ed assaporato la parte giusta, per me, di questa città. Era infatti esattamente quella la Barcellona che da qualche anno mi frullava nella testa, senza che ne avessi una visualizzazione chiara.Le stradine si facevano via via meno frequentate ed i negozi divenivano meno trendy ma molto più gustosi, almeno ai miei occhi. Anche le persone non sembravano più comparse da cartolina ma acquisivano una veridicità che eccitava le mie emozioni. Insomma, più mi allontanavo dalla Rambla e più la città acquisiva una sua personalità, come se, ad ogni passo si svestisse di un’immagine pubblica per consegnarmi il suo corpo, nudo ma vero. Un corpo ancora segnato dalle sofferenze passate e forse per questo intenso, pieno di rughe e pieghe che me ne stavano raccontando la storia.
Barcellona…


Barcellona è ancora un luogo impolverato dal suo più recente passato e per quanto tutti facciano del loro meglio per spazzolarla da questo fastidioso elemento, lei, la polvere, ricade tenacemente sopra ogni cosa. E questo, da un fascino diverso a tutto quello su cui lo sguardo si posa. Tolti i giovani e quelli che amano le tendenze, il resto di questa originale città è ancora pregno della sua storia: i negozi, le abitazioni, la fisionomia e l’abbigliamento delle persone stesse porta con se quest’aria un po’ antiquata e dimessa. Il taglio delle gonne, le vetrine delle botteghe, l’aspetto un po’ desueto dei visi mi ha dato l’impressione che le ristrettezze della vita di un trentennio fa non siano ancora dimenticate. Come incantata da questa polvere magica mi sono letteralmente persa tra i suoi vicoli, tra il ciotolio dei suoi suoni, tra l’ombra umida delle sue chiese dove con occhi incantati ho scoperto che sacralità ed oche convivono in una melodia acquatica difficile da riprodurre con le parole ma assolutamente emozionante.
Ho gioito nel muovermi tra i banconi demodè delle sue botteghe, felice come una bambina di poter portare via con me un piccolo granello di questa stranissima polvere.
La stessa polverina che evidentemente si è posata anche dentro di me e che in questi giorni ha ripreso a volteggiare nella mia testa, ribelle al tempo che tenta di soffiarla via.
Sarà la primavera?








giovedì 27 marzo 2008

Figlie, piccole donne

Oggi sono andata all’università, per un appuntamento importante.
Erano molti anni che non entravo in una facoltà, avendo il tempo di sbirciare lungo i corridoi.
Mentre gironzolavo, osservavo i giovani studenti, tutti vestiti più o meno uguali, tutti con gli stessi jeans, la stessa aria stanca.
La mia attenzione si è fermata però sulle ragazze. Proprio ieri mi è capitato di vedere una trasmissione che parlava di loro.
L’intervistatrice si confrontava con una giornalista, autrice di un libro scandalo di poco tempo fa “Ho dodici anni, faccio la cubista e mi chiamano principessa”.
Io il libro non l’ho letto, ma avendo un figlio adolescente ed essendo una donna sono particolarmente sensibile all’argomento. Insomma si parlava di questo fenomeno, per me sconvolgente, di lolite scatenate, eroticamente sfacciate e con una voglia incomprensibile di mostrare e mercificare il proprio corpo per un apprezzamento a me incomprensibile.
La giornalista ha affermato che le giovani in questione, hanno un comportamento completamente dissociato tra la vita quotidiana ed i loro comportamenti nelle discoteche, in internet e chi più ne ha più ne metta. I servizi che scorrevano, mentre le due mature donne continuavano a parlare, erano secondo me, sconvolgenti: discoteche piene di ragazzine vestite con la sola biancheria intima, troppo provocante e fuori luogo sui loro corpi acerbi. Tanta carne e pelle mossa in balli audaci, esageratamente maliziosi, a volte estremamente volgari. Quanto tempo è passato dalla moda ballereccia dei miei jeans e delle mie Clark? Millenni. La trasgressione che si sposta sempre più in alto. Ma per raggiungere cosa?
Le guardavo e mi sentivo schiaffeggiata, come donna e come madre. Non sono una moralista, tutt’altro, detesto bacchettoni e puritani, ma se potessi le prenderei a schiaffi. Ecco, l’ho detto!
Non ho parole davanti a tanta stupidità. Inutile star lì a spiegare che non è quella la strada, che non sarà quel tipo di comportamento a consegnargli una vita migliore o le conferme che inseguono alla loro naturale insicurezza. Che quei sbarbati pedicellosi a cui si offrono non saranno mai in grado di farle sentire belle come vorrebbero, a posto come desiderano. Ed allora che faranno? Cercheranno di alzare il tiro e l’età di chi, senza delicatezza, gli metterà le mani addosso. Allora le situazioni diverranno ancora più pericolose, più violente, ingestibili. Pensavo a tutto questo mentre continuavo a guardare queste piccole donne, in ansia per un esame od annoiate per una lezione barbosa. Visi bambini, pelle tirata, sguardo insicuro a volte quasi perso. Giacche, sciarpe e scarponi, borsoni, forfora, e movimenti titubanti e tanto sonno. Ma possibile che sotto a tutto ciò si nascondano veramente piccole lolite scatenate? Mi sembra impossibile ma questo è esattamente il pensiero che fa sopravvivere tutti noi genitori, eppure….eppure le statistiche parlano chiaro, questa mania sessuale esposta dilaga e si sta intrufolando in età da scuola elementare. E a me prende l’ansia.
Provo a guardarle negli occhi, cercando di cogliere quella malizia che da qualche parte dovrà pur sfuggirgli, ma non la trovo. I pochi sguardi che riesco ad incrociare sono “cimiciosi” come avrebbe detto mio padre. Adeguati all’età aggiungo io. Occhi cimiciosi su corpi insicuri che di sera si imbellettano e spogliano mostrando ben altra sicurezza ( o insicurezza ) ma che, sotto al pesante trucco, sempre cimiciosi restano. Ed è sul finire di questa considerazione che non provo più solo rabbia. Non ho più voglia di prenderle solo a schiaffi. Anzi, vorrei riportarle a casa, al sicuro, lontano dalle mani schifose che le inseguono. Vorrei rimboccargli le coperte e lasciarle addormentare, magari sospirando davanti al poster di Scamarcio. Vorrei per loro qualcosa di più bello di quello che stanno vivendo. E mi viene voglia di abbracciarle e cullare, come forse loro non vorrebbero, quella loro mascherata fragilità.
Ed a questo punto, ascoltando i loro sospiri, che non posso fare a meno di pensare: “ Ma che gli abbiamo fatto a questi figli… "

L'incontro

Il bar non era niente di speciale ma aveva voglia di un caffè e si fermò.
Un luglio caldissimo affannava i suoi gesti e quel ristretto elisir avrebbe almeno rimesso in moto la mente.
Corti calzoni, una minuscola canottiera ed il costume da bagno come biancheria intima.
Vicino al bancone alcuni giovani uomini. Lui uno dei tre.
La guardò, oltrepassando le spalle dei suoi amici. Lei noto lui ed il suo modo diretto di guardarla ma chiese il suo caffè e si voltò.
Poteva finire così, quell’incontro, ma qualcuno doveva aver colto i loro sguardi e con una scusa li presentò. Lui le si fece vicino, stringendole la mano approfittò della minima distanza e la fisso, dritta negli occhi. Poche parole, uno scambio che rivelò conoscenze comuni, poi un saluto generale e lei riprese la sua strada verso il mare.
Quello sguardo l’accompagnò aumentando il calore di quella afosa giornata, disperdendosi poi nella distanza che intercorse fino al loro successivo incontro. Che fu insulso come gli altri che per diversi motivi seguirono.

Poi un nuovo incontro, inaspettatamente l’abbracci, con affetto, come se foste vecchi amici ma non lo siete. Ma vuoi ferire qualcuno e con malizia ci riesci. In un gesto sei riuscita a sorprendere due uomini oltre che te stessa.
Una distanza fisica spezzata ed un nuovo incontro, mescolato nella folla che vi conosce. Ma rimanete fermi, uno davanti all’altra, e percepite che è un modo diverso di stare vicini. Neanche vi guardate, basta quello che sentite correre tra di voi. Parlate? Non te lo ricordi. Eppure qualcosa avrete pur detto. Lui, sempre così spavaldo, questa volta quasi non riesce a guardarti. Vi salutate in fretta, forse non vi aspettavate quella sensazione. Prendete direzioni opposte e tu cerchi di cancellare in fretta quell’emozione.
Vi rivedete, ancora, ossia lui vede te, che sei distratta, che stai parlando, che non pensavi di incontralo di nuovo, così presto, quando ancora quella corrente rimbalza nel tuo corpo. Quando ti accorgi di lui è a pochi passi da te. Lo vedi avanzare, ha di nuovo negli occhi quello sguardo determinato, e te lo punta addosso, immune da qualunque remora. Sembra aver ritrovato certezze, a differenza di te. Non ha paura di dimostrarti il suo piacergli, tutt’altro, vuole che sia chiaro, che ti arrivi dentro e ti scuota come forse vorrebbe fare il suo corpo. Non sei preparata a tanta decisione, ti coglie impreparata e resti imbambolata. Lui non ci bada e saluta gli altri, soltanto con la voce, senza guardarli. Non può far altro, sta fissando te, i tuoi occhi. Le sue mani arrivano improvvise al tuo viso e lo stringo, forte, mentre le sue labbra sfiorano la tua pelle. Si può fare l’amore così, in un unico gesto?
Con la stessa velocità di un ladro che ha messo a segno il suo colpo, si gira e va via, senza dire una parola, lasciandoti lì incapace di celare gli altri, quello che è veramente accaduto tra voi.
Voleva che capissi, e tu hai capito.

martedì 25 marzo 2008

Fox

Oggi ho fatto una passeggiata nel mio bosco. Fox non c’è più.
Un signore gentile e generoso l’ha portato a vivere con se, nella propria casa, per salvarlo dall’accalappiacani che già più volte aveva tentato di catturarlo.
Alcune amorevoli mamme avevano paura di questo piccolo e dolcissimo cagnolino. Mi sembra incredibile che qualcuno potesse temerlo. Fox se non ti conosce ti gira alla larga e se gli sei simpatico si butta sulla schiena ed aspetta le coccole. Una delizia di essere vivente eppure, qualcuno sosteneva di temerlo. Sono certa che a queste insopportabile signore Fox non ha rivolto nemmeno uno sguardo ma, contro la stupidità è veramente ostico combattere.
L’ultima volta che mi ero recata nel mio boschetto avevo notato la sua assenza ed allarmata avevo chiesto sue notizie: “ Il sig.re con i cani volpini l’ha portato a casa sua” mi aveva detto un’altra frequentatrice del luogo. “Starà bene” aveva aggiunto solerte, vedendo la mia espressione perplessa. “ Ne sono sicura” avevo risposto mentre un velo di malinconia continuava ad avvolgermi contro il mio pensiero razionale. Oggi sono tornata, in fondo speravo di vederlo spuntare da dietro la curva, ma così non è stato. Ho chiesto ad un’altra signora che mi ha confermato l’adozione stabile ed il benessere del piccolo Fox. Dovrei essere contenta ed in parte lo sono. Avrà una cuccia calda, dei pasti sicuri e delle carezze amorose, ma io sono triste.
Forse non lo vedrò più e questo egoisticamente mi da dolore. Mi ero abituata a trovarlo lì, a giocare con lui, a volergli bene. E più di ogni altra cosa sono triste perché la stupidità di alcune persone gli hanno impedito di vivere come voleva. Il signore che l’ha adottato mi aveva raccontato, tempo fa, che aveva già provato a farlo vivere con se ma poi aveva dovuto desistere: Fox voleva stare nel suo bosco ed aveva fatto di tutto affinché lui lo capisse. Voleva essere libero, nonostante le difficoltà del suo quotidiano vivere e questo mi aveva commosso, facendomelo amare ancora di più.
Sarà per questo che non riesco ad essere pienamente felice per lui. Non era quello che voleva. Chiudo gli occhi e cerco di raggiungerlo con il pensiero: lo vedo correre felice insieme agli altri piccoli cagnolini che spero si dimostrino amici. Poi però mi sorprendo a sperare che nei suoi sogni non torni il ricordo di questo luogo incantato e delle sue felici corse in nostra compagnia. In tutto questo tempo nessuno di noi era riuscito a convincerlo che dopo aver ripreso il legnetto che gli lanciavamo doveva mollarlo per continuare a giocare. Niente da fare, lo teneva ben serrato tra i denti finché non ne trovavamo un altro. Non si fidava e visti i fatti aveva ragione: gli umani sono inaffidabili.
Ciao Fox.

domenica 23 marzo 2008

Vanità


Lo so, perderò punti ma non posso trattenermi dal farlo. Non mi dite niente, non insistete, ormai la decisione è presa: DEVO PUBBLICARE UNA FOTO, ANZI PIU D’UNA. Devo farlo perché per quanto ami la sostanza sono pur sempre una donna e, come si sa, la vanità è femmina. Quindi devo rendere giustizia alla mia immagine ormai, forse, irreparabilmente compromessa. Ma ci provo e corro ai ripari.
Il video della mia intervista, come sostiene giustamente mio figlio, mi fa apparire un incrocio tra la Sig.ra in giallo e un’attempata Dacia Maraini e questo è troppo, anche per me.



E’ pur vero che come scrittrice dovrei essere più attenta ed interessata a ciò che dico, piuttosto che a come appaio, ma non ce la faccio. Quel video mi fa sentire più vecchia di dieci anni e questo proprio non riesco a sopportarlo. Nel quotidiano sono tutt’altro e non voglio discostarmi da ciò che sento di essere. Quindi, portate pazienza e beccatevi la versione che sento a me più vicina. Una scapigliata e ribelle quarantenne. E poi, ormai è deciso: capelli lunghi. Questa volta i miei due uomini avevano ragione Ma, per pareggiare i conti dopo la sua pioggia di critiche, mio figlio si becca la pubblicazione di due foto in cui mi sbaciucchia



Le foto, tranne la prima che risale al tour americano, sono state scattata quest’estate, durante il nostro viaggio in Africa, come quella che compare nel mio profilo. A questo punto, ditemi voi quale delle due versioni vi sembra migliore.
Ovvaimente,le riflessioni su questa mia debolezza estetica saranno spunto per un nuovo post.





venerdì 21 marzo 2008

Sorpresa!!! La mia intervista

Confidando nella vostra bontà, vi affido questo video. E' un intervista sul mio libro girata una decina di giorni fa. Vi prego di essere magnanimi con i commenti, poichè quelli che mi sono rivolta sono già abbastanza spietati.
Spero che la sorpresa vi piaccia ( è il mio personale uovo di pasqua) e attendo con molta curiosità, ed anche con un po'di ansia, i vostri pareri.
Ve lo dico subito: di persona sono molto, ma molto più bella.
Ovviamente a mio modestissimo parere e soltanto perchè, davanti allo specchio, normalmente non gesticolo così e non faccio tutte quelle smorfie.

Vi invito a votarmi su You Tube . Dovete andare sul sito e poi digitare Tam Tam libri. Scorrendo i vari video mi troverete e potrete votarmi.
In anticipo, vi ringrazio.

giovedì 20 marzo 2008

Dualità

Era seduta sul divano e come al solito guardava fuori dalla finestra.
Chissà poi cosa volesse cercare lì fuori, guardando le nuvole cambiare colore.
Come erano brave a trasformarsi. Avrebbe voluto essere come loro.
Un continuo ed armonico divenire.
Avrebbe voluto avere la loro stessa capacità. Ma non l’aveva, non ancora.
Due se opposte, incapaci di miscelarsi, come l’acqua e l’olio. Vicine ma distinte.
Quanto si odiava per questo.
Una saggia e ponderata donna ed una ragazzina vivace e ribelle. Dove potevano incontrarsi e capirsi? Anche se poi, in verità, si volevano bene e l’una comprendeva e giustificava i pensieri dell’altra. Ma lei continuava a detestarsi.
La saggia se le indicava la strada, la consolava, impartiva ordine e ritmo alla sua vita, e lei conosceva la sua fatica, la strada ripida che aveva dovuto compiere per arrivare alla propria cima.
Per questo l’amava e la stimava.
E che dire di quella ragazzina scapestrata e ribelle che non riusciva a domare.
Era la sua energia, la sua gioia, il volto ridente delle sue giornate. Era la testardaggine dei suoi sogni e non poteva che adorarla per tutto ciò. Ma ultimamente non la faceva vivere.
Si era messa in testa delle strane idee, un progetto pazzo a cui non voleva assolutamente rinunciare.
A nulla, ma proprio a nulla erano servite le mille parole della saggia se. Testarda come un mulo imbizzarrito, aveva puntato il suo musetto verso l’altra ed aveva risposto per le rime a tutte le sue sensate argomentazioni. Ne aveva abbastanza di raccomandazioni, diceva, anzi avrebbe voluto strapparle e gettarle lontane, il più distante possibile da se e dalla sua voglia di vivere.
Voleva quel desiderio "era un suo diritto" andava urlando da giorni.
La saggia se aveva usato tutta le sue astuzie per trattenerla da quel proposito ma ormai, sconsolata, si era arresa. La ribelle aveva saltellato di gioia ed era uscita. Poi però, una volta fuori da quell’abbraccio rassicurante, la sua baldanza si era un po’ affievolita. Mica facile il suo progettino…
Orgogliosa non aveva tuttavia desistito e si era inoltrata per la strada sconosciuta. A dire il vero, ogni tanto, un po’ di paura si affacciava tra i suoi occhi ed solito sorriso sfrontato ma la ricacciava indietro, ed andava avanti.
Ecco era tutto questo che la tormentava: le due se separate e sole. Possibile che non fossero state capaci di trovare un accordo? Un profondo senso d’inadeguatezza la invase. La ragazzina da sola non ce l’avrebbe fatta e la saggia si sarebbe sentita in colpa per il resto della vita.
Le nuvole placidamente continuavano il loro mutevole viaggio. Beate loro, si trovò a pensare.


martedì 18 marzo 2008

Scrivere l'amore: parliamone

I miei ultimi post parlano di rapporti uomo donna.
Brevi racconti, che accennano a storie quotidiane, eppure evidentemente forti nell’impatto emotivo di chi legge.
Ho tentennato a lungo prima di pubblicarli. Ero, infatti, quasi certa che sarebbero stati letti come qualcosa di riferito alla mia vita, ai miei sentimenti. E così è stato. Oltre i commenti, mi sono arrivate telefonate di vario genere: curiose, maliziose, indagatrici, insomma, di tutto un po’.
Comprendo che per chi mi conosce le domande siano inevitabili. “ Ma a questa che cosa gli sta succedendo?” è più o meno il concetto. E giù a spiegare che non è detto che ogni cosa che scrivo sull’argomento deve essere autoriferito o nascondere necessariamente un misterioso amante. Ma tanto suppongo di non aver convinto nessuno. Ora mi guardano in modo strano e, non oso immaginare, cosa accadrà quando pubblicherò il mio nuovo libro.
D’altronde anche questo dubbio era stato già fonte di varie discussioni con alcuni amici: è giusto censurarsi su alcuni argomenti per non turbare l’altrui pensiero su di noi e sulla nostra vita?
Ci rispondemmo di no. Quando si scrive è indispensabile sentirsi liberi anche se questo ci fa corre alcuni rischi. Tuttavia è anche vero che, specie su determinati argomenti, l’atteggiamento del lettore cambia se a scrivere è un uomo od una donna - non bofonchiate, nella stragrande maggioranza dei casi è così, che vi piaccia o no- e questa percezione inevitabilmente un po’ inibisce.
Per di più, i temi che riguardano l’amore scatenano, forse più di altri, la nostra identificazione o perlomeno la nostra fantasie e quindi, ho notato, l’attenzione è molto alta.
Ma io sono un po’ ribelle e le costrizioni mi irritano ed inoltre ho voglia di scrivere misurandomi con qualunque idea che la mente mi suggerisce. Perciò ho deciso: parlerò di amore, così come mi andrà e pazienza se qualcuno formulerà congetture strane. L’unico a cui debbo qualche attenzione a domanda ha già risposto: “Sei pazza se limiti la tua fantasia. Devi scrivere e fregartene”. E se lo dice lui…
E voi che ne pensate e soprattutto quando scrivete vi censurate?


domenica 16 marzo 2008

Scoprirsi


Due occhi che si incontrano e in uno sguardo stabiliscono confini, sul pregiudizio di un’età.
Nessuna simpatia, nessuna concessione.
Vi sfiorate e non vi piacete. Troppo distanti, ognuno colmo della propria presunzione: troppo giovane, troppo donna.
Minuscole parole, fugaci scambi. Evitarsi, l’unica soluzione.
Un corridoio e le braccia costrette ad incontrasi, più volte, troppe volte. Ed allora non vi guardate, neanche un saluto ed i confini che diventano palizzate e poi mura e poi torri, distanti.
Ma siete lì, lo stesso luogo e tante ore.
“Parla con lui” e ti senti messa al muro. Vorresti dire di no, proprio non ti va ma devi farlo altrimenti la bambina diventi tu.
“Posso?” E vorresti strozzarlo. E poi uscire.
“Certo che puoi” e neanche ti guarda. Ed allora vorresti anche schiaffeggiarlo e poi riprendere a strozzarlo.
Ma alza lo sguardo e ti fissa. Non sai che cosa possa essere successo nel lampo di un attimo. Ma chiude il cellulare e ti guarda in un modo strano, che non ti aspetti. Come una liceale ti auguri che almeno i tuoi occhi stiano restituendo l’indifferenza che vorresti, ed inizi a parlare. Lui si alza e ti viene vicino e continua a guardarti. Il tono della tua voce è decisamente superbo. Questo ristabilirà le distanze, speri. Qualcuno lo chiama e tu torni a respirare. Chiamano anche te e sei contenta di fuggire. “ Vengo da te” e ti sorride. Accenni un assenso e voltandoti rimodelli i pensieri, come puoi. I passi che ti dividono dalla tua stanza li avverti come le ultime bracciate di un naufrago che finalmente incontra la sabbia.
Ti siedi e lui è già lì, davanti a te e riprende a fissarti con quel sorriso, quello nuovo. Si accomoda. Tu riprendi il tuo discorso e la scrivania è l’ultimo baluardo dietro al quale difenderti.
Parli, ma ti accorgi che per la prima volta il suo sguardo sfiora parti di te, fugacemente, ma divenendo audace. Non capisci ma è un gioco a cui la tua femminilità non può sottrarsi. Gli occhi scendono verso luoghi proibiti. Ti torna in mente qualcosa che hai letto. Siete nella media: ognuono risponde alla sua natura e valuta in un’occhiata ciò che gli interessa.
Impossibile!
Eppure lui sta lì e ti concede il suo prezioso tempo. Perché non ha più fretta?
Ma non ce l’ha, e ti guarda e ti parla e ti guarda, ancora. In quel modo strano, sempre più strano. Sorride e poi ride, ti chiede suggerimenti e ti offre i suoi.
Ma che gli è preso?
Si alza, cammina, si siede di nuovo. L’osservi, non puoi farne a meno. Ti chiedi dove sono finite le palizzate, le mura, le torri. Poi vedi le macerie vicino ai vostri piedi, e capisci.
Era il vostro piacervi l’unica barriera. Inaccettabile ma immediato. Eravate gli unici a non averlo capito.




mercoledì 12 marzo 2008

La scelta

Pensò a cosa aveva voglia di mangiare. La scelta era tra un pasto od un panino. Pioveva e aveva voglia di calore. Optò per un vero pasto.
Le piaceva mangiare da sola, la propria compagnia le era cara.
La fecero accomodare in un piccolo tavolino, praticamente accanto ad un altro piccolo tavolino vuoto. Lasciò le sue cose e si diresse al buffet. Scelse con accuratezze le cose che più le più le piacevano, in fondo si stava coccolando. Tornò al proprio posto, in quello affianco a lei si erano seduti un uomo ed una donna. Erano francesi.
Iniziò a mangiare. Le voci degli altri commensali la raggiunsero in un miscuglio di suoni indistinti di cui afferrava singole parole. Inglesi, spagnoli ed i vicini francesi: i commensali erano tutti stranieri.
Si guardò intorno: grandi listoni di legno coprivano il pavimento, lampade dal cappello ricurvo proiettavano fasci di luce su tavolini minimamente apparecchiati. Le pareti erano rivestite da piccoli mattoncini bianchi. I camerieri indossavano lunghe scamiciate nere. Poteva essere un ristorante londinese o parigino. Fu questo pensiero a proiettarla in una dimensione strana, parallela.

Era sola, in una città diversa dalla propria, non aveva un uomo fisso ma ne frequentava qualcuno. Faceva un bel lavoro, un lavoro che la portava in giro per il mondo e per questo aveva amici sparsi in ogni continente. Non aveva figli e conduceva una vita nomade. Ogni tanto tornava a casa ma per poco, c’era sempre un nuovo progetto da realizzare, un nuovo viaggio da vivere. Era felice? Si lo era. Forse la sua vita era sentimentalmente un po’ solitaria ma colma di tante altre emozioni e di altri affetti.
Sì, quella poteva essere la sua vita; se non si fosse innamorata di lui.

Vent’anni e la vita prende un corso. Pensi che sia una cotta, un’infatuazione come tante altre che l’hanno preceduta ed invece è un amore, immaturo come te, ma ti invade e ti trascina dove vuole, lontano da quello che avevi sempre creduto di desiderare.

Ripensò a loro due, al sentimento che li aveva uniti quasi contro la loro volontà, opponendosi alla voglia di provare e sperimentare tutto quella che la vita sfacciatamente non smetteva di offrire loro, tentandoli.
Ma non c’era stato nulla da fare, come due pazzi ostinati si erano avvinghiati l’uno all’altra senza lasciarsi mai, neanche per un girono, neanche di fronte al litigio più duro, all’attrazione di un corpo diverso. Insieme, sempre, ogni giorno vicini o lontani che fossero avevano scelto continuamente loro due, rispetto a qualunque altra cosa, a chiunque altro. Quanti anni erano passati? Decine. Erano una famiglia ora. Ed erano ancora insieme. Adulti. Provò tenerezza per se, per lui, per quei due ragazzini che senza saperlo avevano deciso la vita degli adulti che erano.
Non gli era mai capitato di pensare a loro due in quei termini, come fosse spettatrice della sua stessa vita, ma lo trovò un passaggio fondamentale, il riconoscimento consapevole di un’altra storia, quella che stava vivendo, ora.

lunedì 10 marzo 2008

Voglia di sole


Il cielo è grigio e piove. Mi vesto seguendo un frivolo stile parigino: oggi l’atmosfera climatica della mia Roma è da capitale nord europea. Ma la mia anima è inquieta e sospira lamentosa tutta la sua voglia di sole. Devo placare questo smania.
Metto la teiera sul fuoco ed aspetto il suo fischio. Sistemo in fila tutte le scatoline di latta dove conservo i miei te. Le apro una ad una e chiudendo gli occhi mi immergo nel loro profumo lasciando scegliere i miei sensi.
Nell’attesa che il tempo d’infusione colori l’acqua bollente della mia tazza scelgo il cd. Non ho dubbi, c’è un’unica colonna sonora per questo momento: “Il te nel deserto”.
La mia bevanda è pronta, calda e odorosa. Le note si diffondono nell’aria e dal centro del mio corpo sento espandersi un sole caldo, abbagliante. Assaporo il te, un brevissimo brano parlato trasforma la mia casa in un altro paese per poi lasciare esplodere di nuovo la melodia perfetta di questo miraggio. Chiudo gli occhi, sono lontana, lontanissima in un luogo imprecisato del Nord Africa. Bassi muretti color sabbia dividono i giardini delle misere abitazioni. Tutto è semplice e lineare ma c’è il vento caldo che soffia e gonfia gli abiti colorati stesi ad asciugare su sbilenchi fili di ferro. Più in là delle altissime palme frusciano il loro canto ed un piccolo mulo mi guarda curioso. Strizzo gli occhi per difenderli dalla luce accecante del sole africano e lo vedo, ne riconosco le forme sinuose ed il silenzio regale: il deserto. Supero stradine polverose ed arrivo ai margini dell’oasi. Il suo richiamo è fortissimo e la morbidezza del suo orizzonte solletica la mia fantasia ma fa tanto caldo e decido di fermarmi sotto l’ombra dei palmizi compiacenti. Aspetterò qui che il sole ammorbidisca il suo calore,sfumando d’arancio l’orizzonte e poi, forse, lo raggiungerò. Ma non è poi così importante, il sole è già dentro di me.

giovedì 6 marzo 2008

Conosco un uomo

Conosco un uomo. No, non è vero, conosco il profumo di uomo, l’odore migliore della sua anima, il pensiero alto ed armonico della sua intelligenza e con questa, solo con questa parte di lui, io, dialogo, d’anni. Impossibile spiegare come questo rapporto possa funzionare. Eppure funziona.
Tuttavia, appena il contatto dei nostri occhi si perde ci allontaniamo di miglia e l’incomunicabilità diventa totale. Ogni volta, mi sembra impossibile che questo piccolo particolare possa trasformare il nostro stare insieme, ma è così, è successo miliardi di volte. Ed è per questo che a volte, improvvisamente, distoglie lo sguardo. E’ l’unica accortezza che può usare per far emergere tutto il resto di se. Il resto che sa che non mi piace e che so, non piace neanche a lui. Ma è la sua distanza di sicurezza e la usa. Lo sappiamo entrambi. Ed allora ci salutiamo, un nuovo piccolo, doloroso rammarico ed un ultima occhiata.
Il nostro miscuglio di pensieri si ritroverà, basterà uno sguardo.

martedì 4 marzo 2008

Scoprire il silenzio

Parlare, è una vita che non faccio altro. Eppure in questa serata che non vuole finire, io resto in silenzio. Per una volta scelgo quello che in realtà non mi appartiene: rispondere alle parole tacendo.
Ed il mio silenzio dilaga, sovrasta, diviene assordante e più prepotente di qualunque frase, più pungente di qualunque commento. Lui mi guarda, mi sorride, mi fa l’occhietto. Un altro dialogo muto, esclusivo, complice. Senza nessuna parola ci siamo parlati, capiti, di nuovo riconosciuti. Le voci continuano a sovrapporsi, cercano la ribalta dell’attenzione, la sua, che non c’è, non la concede, ha scelto il mio silenzio, incredibilmente.

La forza di un cambiamento, la disperazione di un’incomunicabilità che non mi lascia scelta, se voglio sopravvivere ad un delirio. Ho usato una vita di parole ed ora il silenzio diviene un compagno che inizio ad amare. Un protezione in cui non mi ero mai rifugiata ma che inaspettatamente mi accoglie. Sarà per la sorpresa, sarà perché nessuno se l’aspetta da me, ma mai, mai come questa volta, senza nessun sforzo, ho sottolineato la mia diversità. Lo vado ripetendo da un po’, scherzando, ma inizio a crederlo possibile: prima o poi smetterò di parlare, come Clara nella “Casa degli Spiriti.”
In fondo, anche io ho una scatola rotonda, anche io percepisco più di quanto gli altri credano.
Parola, amica mia, no, non temere, non ho smesso di amarti, al contrario, è qualcos’altro che ho smesso di rincorrere.

domenica 2 marzo 2008

Questi uomini!

Entro in un bar, al bancone chiedo una spremuta, m’indicano la cassa.
Mi avvicino, un giovane uomo è impegnato in qualche conteggio.
Capelli biondo ossigeno, scoppola calata al punto giusto, camicia rosa intenso con SCOLLO AD INCROCIO, giacca marrone tono su tono con la scoppola. Avverte la mia presenza ed alza lo sguardo, gli occhi sono dello stesso colore dei jeans; non può essere un caso. Il suo sguardo mi accarezza con l’innocenza di un cherubino ma con la voglia di ammaliarmi. Per essere certo che io svenga calibra anche un notevole sorriso malizioso. Lo fisso dritto negli occhi, ahimè senza sbarellare, e ripeto la mia richiesta. Lui determinato sfodera tra i denti un nuovo sorriso: “Possibile che non funzioni?” vedo saettargli nello sguardo cerulo. Pago restituendogli un sorriso comprensivo che dia sostegno alla sua delusione.
Mi sposto al bancone ed aspetto la mia aranciata. Entra un gruppetto di uomini sulla trentina, stessa età del fascinoso cassiere. Il capo fila è un nerboruto sempliciotto, atavicamente maschio. Si dirige dritto alla cassa e quando inquadra il piacionissimo biondo, dall’alto dei suoi jeans sporchi con annesso maglioncino infeltrito, non può trattenersi e con voce desolata ma impetuosa come quella di un tenore esclama:” Aòòòò!!!… ma che te sei messo!?!?” I presenti si girano. All’unisono. Gli occhi di tutti, lo so, corrono alla camicia rosa intenso con scollo ad incrocio. L’ossigeno dei capelli del cherubino cassiere sembra perdere vigore, lui è palesemente spaesato: nella schiettezza di una frase vede infrangersi lo specchio dei nostri occhi, nei quali, è evidente, aveva riposto ben altre speranze.
Io rido ma evito di farmi notare per non infierire. Poi li osservo: adesso mi è chiaro perché in un sondaggio i camionisti ed i muratori sono risultati gli amanti migliori: almeno apparentemente, sono gli unici ad avere ancora una parvenza di maschio. O no?