Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

mercoledì 28 gennaio 2009

L'espressione del femminilità/ parte prima

L’altro giorno si parlava di femminilità. Ne discorrevo con degli amici dopo essermi imbattuta, casualmente, in due donne belle ed apparentemente molto sicure del loro fascino. Le ho osservate, ho provato a sentire la loro femminilità facendomi condurre da quello che era il loro linguaggio corporeo e poi ci ho riflettuto su. Quanto c’era di “profondamente loro” in quel mostrarsi così seducenti? Mi spiego meglio ed amplio il discorso. Quanto di quello che ogni donna incarna è veramente e visceralmente aderente alla sua personalità e quanto, invece, è frutto di un adattamento inconsapevole a dei modelli o dei ruoli imposti, più o meno esplicitamente, dall’ambito familiare o sociale?
Per una serie di combinazioni fortunate, in questo periodo della mia vita ho l’opportunità di esplorare questo affascinante e misterioso percorso che le donne stanno compiendo e, quello che sto scoprendo è che, al di là di quello che ogni donna crede di essere e quindi di mostrare volutamente, c’è spesso un vissuto che nega nella realtà del vivere le sue stesse convinzioni. Ingannate da un fraintendimento concettuale, spesso le stesse donne interpretano la “ femminilità” unicamente come una forma di seduzione. Ed è proprio a causa di questo abbaglio interpretativo che, troppo frequentemente, un’espressione più ampia e sfaccetta della propria essenza di donna rimane nascosta o non completamente esplorata. Attraverso degli approfondimenti fatti anche d'ascolto diretto, sto verificando che molte donne, fin dalla più tenera età, scelgono, più o meno consapevolmente, di assumere un ruolo e continuano ad interpretarlo, a volte soffrendo, a volte convincendosi che è proprio quella l’espressione naturale del loro essere, per tutta la vita. Ed è orribile cogliere lo spaesamento che corre nei loro sguardi quando, improvvisamente, per un motivo qualunque, si rendono conto di aver vissuto in uno schema costruito per loro da altri. E non crediate che questo accada unicamente in ambiti culturalmente o socialmente arretrati. Sarebbe un errore. Quello che sto riscontrando, infatti, è che anche donne apparentemente sicure di se, affermate nell’ambito lavorativo, meravigliosamente seducenti, o culturalmente preparate sono a volte, e più frequentemente di quanto si possa ipotizzare, solo la proiezione di un desiderio o di un’aspettativa genitoriale se non addirittura sociale. Pensateci, quante di noi sono divenute mogli o madri esemplari, avvocati, poliziotte, femmine esasperatamente seducenti, oppure ballerine, o dottoresse o qualunque altra cosa che sembra far parte in modo così naturale della nostra personalità, soltanto perché, inconsciamente desideravamo l’approvazione di un genitore, principalmente quella del padre, che sembrava altrimenti sfuggirci? E non crediate che sia una modalità rara. Un figlio spera sempre di essere amato e pur di riuscire ad esserlo può arrivare, a livello inconscio, ad immedesimarsi in un ruolo che non gli appartiene ma che nel tempo gli darà la sensazione di essere accettato ed amato. E questa è una trappola affettiva in cui, ahimè, possono cadere tutti e che invalida, almeno parzialmente, le vere e connaturate potenzialità di ogni individuo. Nel caso delle donne poi si muove una rete subdola, fatta ancora oggi di vecchi retaggi culturali e religiosi che amplifica la possibilità d’imprigionarla, apparentemente complice.
Per tutti questi motivi sono portata a credere che l’espressione ampia del femmineo è tutt’ora, ed in molti casi, chimera. Guardandomi intorno, vivendo come donna nel femminile che mi circonda, posso testimoniare che molto spesso le donne non possono o non hanno imparato ad esprimere tutte le loro potenzialità.
La femminilità è, infatti, un aspetto del nostro essere assai più ampio di come, generalmente, viene inteso, ed accoglie ed emana all’esterno tutto il nostro “essere creative”. Ed il creare non è solo riferito al dono naturale di generare vita, ma ad un’infinita serie di sfumature nelle quali noi donne possiamo e potremmo esplorare ed affermare le nostre capacità.

domenica 25 gennaio 2009

Amare l'altro come diverso da se

" Una volta accettata la consapevolezza che anche fra gli esseri umani più vicini continuano ad esistere distanze infinite, si può evolvere una meravigliosa vita fianco a fianco, se quegli esseri riescono ad amare questa distanza fra loro, che rende possibile a ciascuno dei due di vedere l'altro, nella sua interezza, stagliato contro il cielo."

Rainer Maria Rilke, Lettere

giovedì 22 gennaio 2009

Cuore

“ Ti voglio bene.” Ci sono voluti anni per dirlo, per dirlo a lui, ovviamente.
Tu lo sapevi già, da molto tempo. L’avevi capito poco dopo averlo conosciuto, eppure è stato necessario un tempo lungo affinché quel pensiero trovasse il coraggio del suono. La prima volta glie lo dicesti mentre pranzavate accanto ad una finestra, in un piccolo tavolino che a stento conteneva i vostri piatti. L’avvisasti: “Ascoltami bene perché te lo dico ora e …” e lui carinamente concluse la frase, accordandoti tutta la sua attenzione. Pronunciasti quelle tre parole guardando le tue mani ed il piatto, ma non lui. Ti sembrava già una conquista immensa e non volevi pretendere troppo da te stessa. Diamine, era un fior d’ammissione! Dire a qualcuno non è apparentemente così intimo una frase tanto intima. Tu, che capace d’amare e molto, non avevi remore tra le rassicuranti braccia dei tuoi familiari affetti, annaspavi in un disagio enorme davanti agli occhi di chiunque l’altro. Tuttavia, sentivi una dissonanza crescente tra i tuoi dialoghi interiori e quello a cui poi eri veramente capace di dar voce. Quante volte i pensieri si componevano in melodiose frasi e tu, nello slancio del momento, volenterosa ti ripromettevi di esprimerle alla prossima occasione. Ma quell’occasione sembrava non arrivare mai. Bastava un niente a bloccarti e lo salutavi dispiaciuta per un nuovo fallimento. Quel giorno però trovasti il coraggio, e fu come se finalmente il cuore avesse trovato da solo la sua formula magica. “ Ti voglio bene” ed il masso che ostruiva il passaggio lentamente iniziò a spostarsi. Ce l’avevi fatta! L’incantesimo che aveva sigillato i tuoi sentimenti dietro quel muro di pietra non c’era più. Tu eri di nuovo tu, quella che sapevi di essere. Un’emozione intensissima. Il naturale fluire da te al mondo e dal mondo a te: è così che volevi vivere, è così che avevi scelto di riprendere a vivere.
Ed ora? Ora ti sembra tutto semplice e bello. Guardi i tuoi amici, i conoscenti ed a volte anche i sconosciuti e dici ciò che provi, cogliendo particolari del loro essere. Spesso ti guardano sorpresi; è talmente inusuale che qualcuno dica con tanta semplicità cose belle dell’altro. Ma per te no, non più.
L’hai abbracciato forte l’ultima volta che vi siete visti “ Ti voglio bene, tanto bene” ed era a lui che sudavano le mani a quel punto. Un incontro, un’amicizia che nasce, e non sai mai prima perché proprio quella persona sia entrata nella tua vita. Oggi so che un amico può avere la forza di far rotolar via una pietra dal cuore.

martedì 20 gennaio 2009

L'evoluzione del pensiero

Ho ascoltato una conversazione in un negozio e, nel qualunquismo dei pensieri espressi, mi sono depressa. Ogni frase, ogni giudizio, era infarcito, impregnato di preconcetti, luoghi comuni e limitata capacità d’analisi. Insomma, si guardava alla pagliuzza e volutamente si evitava di prendere in considerazione la trave. Era un dialogo come capita di ascoltarne tanti, opinioni comuni. Appunto, comuni.
Sempre più spesso ho l’impressione che la società, almeno quella italiana, stia vivendo una fase di grossa regressione culturale e civica ed io mi domando, altrettanto spesso, se noi esseri umani siamo impossibilitati, per connotazione naturale, a superare alcuni limiti.
Me lo domando avendo approfondito anche nello studio della filosofia i processi che hanno accompagnato il nostro cammino nella storia. Leggendo Seneca, od Aristotele, così come pensatori più vicini al nostro secolo, è inevitabile constatare che i comportamenti umani sono sempre gli stessi, gli errori vengono ripetuti, ineluttabilmente da millenni. Ed allora, nel veder confermato questo continuo perpetuarsi di comportamenti e sentimenti, mi assale lo sconforto e mi chiedo se l’uomo ha veramente la volontà ed il bisogno di evolversi. Se questa spinta appartiene atavicamente a tutti noi, o, è solo nutrimento necessario per pochi. Se non sarà vero che la fatica che lo studio comporta, la riflessione, lo spostamento dal “ me a te” in fondo non interessi veramente la maggioranza delle persone. Persone che al contrario si accontentano di vivere come capita, seguendo il flusso dei propri istinti e della corrente che appare ai loro occhi più forte e quindi più facile.
Ma poi torno a casa e vedo giurare Barack Obama, ed allora il mio sangue respira nuovo ossigeno ed il cuore riprende a pulsare con nuovo vigore. Non è come a volte mi viene da pensare nei momenti di avvilimento. Lentamente, ma ineluttabilmente, un passo dopo l’altro il pensiero umano continua il suo cammino ed avanza e si espande.
Mi auguro che questo Presidente possa imprimere un nuovo passo alla storia. Che la conquista di un diritto ovvio, ma che ahimè, ad oggi è, e rimane ancora, conquista, sia talmente importante da oltrepassare con una diversa accelerazione almeno alcuni passaggi socio culturali della nostra specie. Non ritengo che la mia generazione abbia vissuto dei momenti storici entusiasmanti, altre generazioni hanno avuto la fortuna di vivere e respirare ben altro, ma oggi sono qui, e posso vedere ed ascoltare un uomo di colore giurare come Presidente degli Stati Uniti d’America.
Non credo nell’effetto “ bacchetta magica” ma non vorrei neanche cadere nell’errore opposto: sottovalutare l’evento.
Mi affido quindi alle parole di un filosofo arabo
.

“ Settimo difetto dell’occhio è di vedere piccolo ciò che è grande, esso quindi vede il sole nella misura di uno scudo e le stelle in forma di monete sparse su uno scuro tappeto.”
(Ibn- Muhammad al Ghazali)

Speriamo bene!

domenica 18 gennaio 2009

Ci si rivede.

Ritrovarsi, vent’anni dopo, una cena tra noi come tanti anni fa.
Sarà semplice parlarsi anche guardandosi negli occhi, oppure, affogheremo unicamente nei ricordi senza saperci inserire nell’oggi?
Il dubbio c’è, anche se apparentemente tutto sembra. Solamente, “allegro ritrovarsi”.
Fa freddo e Roma continua ad essere bagnata da una pioggia incessante. Se non fosse che rimandare una rimpatriata dopo vent’anni ti sembra poco opportuno, forse avresti alzato la cornetta e chiesto: “Facciamo un altro giorno?” Ma non lo fai, speri che il calore di questo incontro riesca ad asciugare tutta l’umidità che ti circonda e ti prepari.
In macchina pensi a come si sentirà lui, l’unico tra voi che non vi frequenta d’allora. Si sentirà in imbarazzo? Avrà accettato per carineria? Come vi troverà vent’anni dopo?
Squilla il telefono è il tuo amico di sempre, quello che hai continuato a frequentare: “ Ma dove siete? Qui non c’è ancora nessuno…””.
“ Sto arrivando!”
Li vedi quando sei ancora in macchina: Giacomo l’amico di sempre e Fabrizio, quello che mancava all’appello da un po’. E ti viene proprio da ridere nel rivederli insieme. Alti e belli, sembra un appuntamento dei soliti, con Giacomo stranamente puntuale. Ma davvero sono passati vent’anni?
Parcheggi, scendi dalla macchina, pochi passi e “ Saluto prima lui, a te ti vedo sempre.”
“ Sei sempre uguale, è incredibile!”
Fabrizio lo dice a te e tu lo ripeti a lui. Sarà vero? Tu l’hai detto sincera, speri che la schiettezza non l’abbia abbandonato nella compassata formalità di una nuova età.
Un saluto urlato vi fa voltare: è arrivata Silvia ed il quartetto è ormai ricomposto.
“ Parcheggia che t’investono!!!!!”
Ci raggiunge ridendo e anche lei salta il povero Giacomo per salutare subito l’amico ritrovato.
Le frasi corrono veloci, le battute si sovrappongono, fa un freddo cane ed il fumo delle sigarette si addensa nell’aria. I nasi rossi, le mani in tasca e l’abituale fiume di parole. Insomma, gli adolescenti di sempre. In una accorta botta di saggezza decidete che forse è meglio entrare; lo spirito sarà pure lo stesso ma l’età, ahimè, impone assennatezza.
La cena scivola via che è un piacere e per ridere la pizza si fredda.
Li osservi uno ad uno: sono davvero ed incredibilmente gli stessi d’ allora e sembra quasi un miracolo genetico. I volti solo un velo più maturi ma nulla di più. I corpi magri, gli occhi brillanti e la parlantina veloce e fluida.
Quarantatre anni per uno e nonostante lo strotolarsi della vita fra voi tutto sembra immutato. Giacomo è la solita ondata di racconti esilaranti e non riuscite quasi a respirare per le battute che sbocciano tra le labbra, in un felice alternarsi di tempi e pause. Non vi eravate scelti per caso.
L’alchimia, infatti, si è ricreata istantanea e li guardi, felice di ritrovarli tutti e tre vicini a te.
Non c’è niente da fare la teoria degli amici storici conferma la sua tesi: vi eravate scelti per affinità e non per banali motivi sociali e si vede, si capisce dall’immediata confidenza, dall’intimità che vi permette qualunque battuta. Non potreste permettervelo con nessun altro e questo ti fa sentire a casa, comoda e calda. Non c’è bisogno di fingere, tu li conosci e loro conoscono te, che senso di pace…
Ti soffermi su di lui, l’amico ritrovato, il suo umorismo molto "british", ora lo sai, ti è proprio mancato. Glie lo dirai, con calma, domani, in una conversazione a due al telefono o su quel diavolo di face che vi ha fatto ritrovare.

giovedì 15 gennaio 2009

Libere associazioni

E' venerdì, ed avrei voluto pubblicare un post leggero, allegro, ma ho incontrato alcune frasi di Marcel Proust e per quanto volessi resistere e, per questo, cercassi dentro di me un altro argomento, qualcosa mi riportava sempre alle sue parole, all'associazione istintive che avevano attivato nella mia mente. Ed allora...

" Vedevo d'improvviso una nuova faccia dell'abitudine. Fino a quel momento l'avevo considerata soprattutto come un potere distruttivo che sopprime l'originalità e addirittura la coscienza delle percezioni; ora la vedevo come una divinità temibile, così inchiodata a noi, con il suo viso insignificante così confitto nel nostro cuore che se si stacca da noi, se ci volge le spalle, questa divinità che quasi non distinguevamo c'infligge sofferenze più terribili di qualsiasi altra e allora diventa crudele come la morte."

Marcel Proust Albertin scomparsa

"Abitudine, coscienza delle percezioni, inchiodata a noi, viso insignificante...allora diventa crudele come la morte." Non so a voi, ma a me sono venute in mente le guerre, ogni tipo di guerra, e la nostra abitudine ad essa, ad i suoi orrori, ed alla punizione crudele come la morte, appunto, che la stessa abitudine sembra infliggerci, stizzita dalla nostra debolezza, che ci rende passivi e non ribelli.

Credo di aver mescolato tutto, le parole di Proust, ciò che sta accadendo nel mondo, i miei pensieri, le mie paure, la mia rabbia. Forse ho pubblicato un post strambo, se così è, vi prego, portate pazienza o, se non ce la fate, passate pure oltre. Questo è solo un piccolo post composto di alti pensieri e libere associazioni. Io ho contribuito solo con le strambe associazioni. Lo so.

mercoledì 14 gennaio 2009

Doni

Ci sono doni che non mi verrebbe mai in mente di poter ricevere poiché sono doni imprevedibili, e quindi magici. Grazie quindi, a chi anche oggi mi ha amato, a chi si è lasciato amare, agli amici allegri e canterini, al piccolo pappagallo verde che ha volteggiato sulla mia testa, ai primi fiori di mimosa che mi hanno salutato nel mio bosco, alla nuvole che gentilmente hanno trattenuto le loro gocce, alla luna magnifica, alle mani che nel profumo del gelsomino mi hanno coccolato ed infine, grazie a chi, non volendo mancare alla nostra festa, mi ha salutato nel ricordo intimo di una giunchiglia bianca fiorita davanti al portone.

“ E’ stato un bel compleanno vero mamma?”
“ Bellissimo.”

domenica 11 gennaio 2009

La scoperta

Un anno fa vivevo il mio anno sabbatico. Pensavo non fosse una scelta, ma un tiro mancino del destino.
Doveva essere un “chiudo di qua e vado di là” ed invece, inciampi vari imponevano continui stop.
Sarà una breve vacanza, mi dicevo, ed invece il tempo si andava estendendo ed io galleggiavo sospesa in un dimensione sconosciuta. Tanto lavoro, nessun lavoro. Niente tempo, tanto tempo. Ero disorientata. Non si trattava più di organizzarmi qualche settimana di svago e vecchi impegni rimandati. Tutt’altro, via via che i giorni passavano mi rendevo conto che le prospettive cambiavano ed io dovevo vivere un tempo indefinito in un modo che non rientrava nei soliti canoni. Mai nella mia vita mi era stata regalata un tale opportunità, lentamente mi ci adagiai.
Il sole mi svegliava con piccole musate: “ Dai! Su! Una nuova giornata sta iniziando ed è tutta tua, che facciamo oggi?”
Mi alzavo tranquillamente, senza fretta assaporavo un profumato te, mentre la musica accompagnava il mio buon giorno al mondo ed io sceglievo il tema delle mia giornata guardando il cielo davanti a me.
Nessuna contrattura, nessun limite: ero libera! Libera di dedicarmi tempo, di decidere i miei tempi, libera di andare o rimanere, di scrivere o pensare, di camminare, di vedere ed osservare.
Ogni giorno sceglievo di regalarmi delle lunghe passeggiate nella natura. Giocavo sotto la pioggia, inseguivo il cammino delle nuvole, guardavo la terra, odoravo il suo respiro intorno a me. Come un girasole cercavo di volgermi sempre verso il sole, salutavo l’arrivo della luna, sbirciavo attenta il germogliare dei fiori.
Senza accorgermene, in tutto il silenzio che mi circondava, ascoltavo soprattutto me stessa.
Qualcosa di grandioso stava accadendo ed io ne ero consapevole soltanto a metà. Tuttavia, comprendevo che stavo rigenerando la mia terra interiore e la stavo seminando di nuovo.
Ho ripreso il mio lavoro, i soliti ritmi scanditi da altri, le solite, anche se minori difficoltà del quotidiano e sociale vivere. E' giusto e buono così, ma quel tempo, il mio, è qui, dentro di me e continua a battere a modo suo.
Poi, quasi a rassicurarmi che appunto nulla è perso, arriva un giorno qualunque, come quello di ieri: le chiacchere incessanti di una amica, i suoi dilemmi, il mio esserci per lei, con affetto. Però una necessità impellente mi obbliga ad uno standby e, mentre per pochi minuti mi ritrovo sola, arriva una folgorazione, una scoperta improvvisa, inadeguata al luogo ed al momento e forse per questo ancora più divertente ed irriverente: ho imparato a dialogare con me stessa, ad essere amica di me stessa. L’ho scoperto ascoltando lei, e ripensando a me, in quest’ultimo anno. Un lampo e la consapevolezza che nei mesi che trascorrevano senza la solita frenesia io le decisioni più importanti, quelle interiori che indicano la via, io, le ho prese da sola, le sto prendendo da sola. Nessun ancoraggio costante all’altro, bensì solo sporadiche e meravigliose conversazioni con poche, pochissime persone, e poi però il dialogo profondo, quello davvero senza censure è con me stessa che l’ho avuto che continuo ad averlo. Un lento ritirarmi in me, passeggiando nel silenzio, nell’osservazione della natura, osservando senza parlare tutto ciò che mi accadeva intorno è così che sono giunta ad ascoltare la mia voce ed è con lei che da quel tempo ormai scelgo. Ed ora so che questo era un desiderio a cui ambivo da molto ma che credevo, per me, quasi irrealizzabile.
Allora ripenso a tutti i contrattempi che per un anno mi hanno impedito di tornare a lavoro e collego quell’ostinazione degli eventi ad una frase letta, alcuni giorni fa, in un libro regalato ad una persona a cui voglio molto bene e che ha molto a che fare con il mio lavoro, e tutto si completa e si disegna precisamente e senza casualità
.

“Ogni cosa di questo mondo – evento o persona – è una pietra d’inciampo destinato a provare la vostra libertà di scelta. Scegliete con saggezza.”
( Rabbi Nachman Brascav)

venerdì 9 gennaio 2009

L'interesse

L'interesse è l'anima dell'amor proprio, dimodochè, come il corpo, privato dell'anima, è senza vista, senza udito, senza conoscenza, senza sentimento e senza movimento, così l'amor proprio, separato, per così dire,dall'interesse, non vede, non ode, non sente e non si agita più; ne deriva che uno stesso uomo che percorre la terra e i mari per il proprio interesse diventa improvvisamente paralitico per quelli degli altri; ne deriva quel repentino torpore e quella specie di morte che generiamo in tutti coloro cui raccontiamo i nostri affanni, come pure la loro pronta resurrezione quando nella nostra narrazione facciamo riferimento a qualcosa che li riguardi; così, nella nostra conversazione e nelle nostre contrattazioni, ci accorgiamo che in uno stesso momento un uomo perde conoscenza e ritorna in sé, a seconda che il suo interesse s avvicini a lui o si allontani.

Tratto da " Massime" di La Rochefoucauld

martedì 6 gennaio 2009

Un saluto a modo mio

Non ho voglia di buttare, ho voglia di accoccolarmi in ciò che ho avuto e proseguire il cammino confortata dai miei doni.
Un passo oltre l’uscio di un nuovo anno ed uno sguardo grato a ciò che dietro le spalle sembro aver lasciato. Ma l’ho davvero lasciato? Forse no, forse è soltanto la pelle vecchia, sottile, ormai secca a poter rimanere la, nel vecchio anno. Però non disprezzo, è la pelle che mi ha contenuto proteggendo il rinnovamento, il nuovo che mi appresto a vivere. Sono grata anche a lei. E poi? E poi son grata a me, a come ho usato i miei occhi, le orecchie, di come ho saputo sfiorare, toccare, stringere, assaporare ed ancora pensare e sentire, riuscire a dire o saper tacere.
Non mi piace usare toni dispregiativi per il tempo trascorso, non brindo al suo andar via, sarebbe come festeggiare il tempo che se ne va, la me che non sarò più. Non posso non amare ciò che ho avuto, qualunque istante è stato un dono ed io l’ho apprezzato, nella noia così come nell’allegria, nello sconforto anche, perché no? E’ stato il mio tempo, sono stata io, è stata la mia vita ed io ne sono orgogliosa. Gli errori fatti son serviti e le gioie avute le ho godute. Ed i dolori? Anch’essi mi appartengono e son preziosi così come la felicità.
Quanti momenti, quanti sguardi, e colori, e le parole? Quante parole… ce ne son di belle, e le ricordo tutte. Sono mie per sempre e le porto con me.
E la paura? Non hai avuto mai paura? Oh sì, diverse volte, ma anche quella è vita e mi ha insegnato. E poi ci sono i sorrisi, e le sorprese, le scoperte, gli incontri o l’incontrarsi, finalmente.
Quanto sole, quante mattine salutate con il naso in su, verso il cielo, a dare il buon giorno agli uccelli o al fremere degli alberi. Ed i tramonti e le notti, la luna fedele e le stelle eleganti.
E l’emozioni? Oh di quelle poi ce ne sarebbe da dir, son state tante, picchi ed abissi, piacevoli e o meno che fossero cercavo di trovare la forza per trattenerle nel palato anche per un solo attimo. Erano antidoto e lo sapevo.
E per finire ci son gli umani che il mio cammino hanno accompagnato. Grazie a tutti, simpatici od antipatici, buoni o cattivi, amici o nemici non mi interessa, siete stati parte del mio tempo e senza di voi non sarei ciò che sono.
Che ricchezza porto con me, perché dovrei buttarla via con i cocci vecchi?