Pensieri che corrono nella mente e idee che rimbalzano nei discorsi con gli amici.
E’ successo così anche con questa strana teoria. Una macchina che scivola sull’asfalto, la musica che esplode nell’aria, una curva tra gli alberi mentre il sole mi accarezza.
E’ successo così anche con questa strana teoria. Una macchina che scivola sull’asfalto, la musica che esplode nell’aria, una curva tra gli alberi mentre il sole mi accarezza.
Ci si chiedeva: “Quel’è la differenza tra chi non è capace di afferrare quanto d’importante la vita gli offre e chi, al contrario raccoglie, anche tra i cocci, quel che era bene salvare?
Ed allora mi viene in mente che c’è chi è solo capace di farsi muro, chi diventa rete e chi sa cogliere e, nel saper coglier,e sa bene quel che lasciare.
Ed io che tipo sono?
Gli amici più intimi lo sanno, rimango sempre perplessa, e molto, di quanto il mio modo d’essere sembri, nei confronti della vita, anomalo. Io sono semplicemente io, e la mia compagnia è per me talmente abituale da sembrarmi banale. Ma forse, come dice da tempo un carissimo amico, alla mia età sarebbe giusto ed opportuno acquisire una consapevolezza di quel che accade quando mi esprimo nel mondo. Per non fare troppi danni, dice simpaticamente lui. Ed allora ho iniziato a ragionarci su e, l’unica cosa che mi è venuta in mente è che io vivo lasciandomi attraversare da quel che incrocio lungo la strada. Non m’impongo, come spesso vedo fare, di respingere o gestire o controllare le cose che mi accadono. Ho imparato che irrigidirsi, ostacolare, insomma tutto quello che per paura si cerca di fare per non venir travolti o stravolti, non ha alcun senso. Le cose arrivano a prescindere da ciò che vorremmo o siamo in grado d’ipotizzare e mettersi davanti a loro, ferrei come pali non è una buona idea. E lo confesso, è un comportamento che conosco assai bene. Applicato diligentemente per svariati decenni, e comprovato nella sua totale inutilità. Oltre tutto, diventare muro non consente di fare quello che io definisco “l’effetto rete”: nulla, neanche il buono, resta impigliato dentro di noi e quindi non potremmo nutrirci di quanto offerto dalla sorte. Il muro ha una consistenza indeformabile, che non si plasma attorno a quello con cui si scontra: o si rompe o resiste e quindi in ogni caso non assorbe elementi. Io, invece sono divenuta flessuosa nei confronti della vita e questo, forse e dico forse, mi consente di trattenere molto e farmi, paradossalmente, molto meno male. La presuntuosità di noi umani, invece, è talmente sconfinata che c’impedisce di accettare una cosa fondamentale: che non possiamo modificare l’immodificabile. Non è saggio illuderci che sempre e comunque la nostra volontà sia in grado di piegare gli eventi, o il loro svolgimento, ai nostri desideri, alle nostre paure. Quello che, sempre credo, è in nostro potere fare è piuttosto interpretare ciò che ci capita e poi, con l’effetto rete, cercare di portare dentro di noi il meglio che siamo riusciti a pescare. M badate bene, non solo quando il mare è calmo, ma anche e principalmente quando nel nostro oceano si scatena la tempesta. Ma uscendo dall’acqua, elemento non a tutti congeniale, potremmo dire che la nostra esistenza è un cammino e il destino ci circonda di miliardi di occasioni. Arrivare a saper cogliere vuol dire sapere essere arrivati a saper riconoscere quello che è bene oltrepassando ciò che non lo è. Sapere scegliere e quindi scindere, ma con morbidezza, assecondando la vita.
Ed allora mi viene in mente che c’è chi è solo capace di farsi muro, chi diventa rete e chi sa cogliere e, nel saper coglier,e sa bene quel che lasciare.
Ed io che tipo sono?
Gli amici più intimi lo sanno, rimango sempre perplessa, e molto, di quanto il mio modo d’essere sembri, nei confronti della vita, anomalo. Io sono semplicemente io, e la mia compagnia è per me talmente abituale da sembrarmi banale. Ma forse, come dice da tempo un carissimo amico, alla mia età sarebbe giusto ed opportuno acquisire una consapevolezza di quel che accade quando mi esprimo nel mondo. Per non fare troppi danni, dice simpaticamente lui. Ed allora ho iniziato a ragionarci su e, l’unica cosa che mi è venuta in mente è che io vivo lasciandomi attraversare da quel che incrocio lungo la strada. Non m’impongo, come spesso vedo fare, di respingere o gestire o controllare le cose che mi accadono. Ho imparato che irrigidirsi, ostacolare, insomma tutto quello che per paura si cerca di fare per non venir travolti o stravolti, non ha alcun senso. Le cose arrivano a prescindere da ciò che vorremmo o siamo in grado d’ipotizzare e mettersi davanti a loro, ferrei come pali non è una buona idea. E lo confesso, è un comportamento che conosco assai bene. Applicato diligentemente per svariati decenni, e comprovato nella sua totale inutilità. Oltre tutto, diventare muro non consente di fare quello che io definisco “l’effetto rete”: nulla, neanche il buono, resta impigliato dentro di noi e quindi non potremmo nutrirci di quanto offerto dalla sorte. Il muro ha una consistenza indeformabile, che non si plasma attorno a quello con cui si scontra: o si rompe o resiste e quindi in ogni caso non assorbe elementi. Io, invece sono divenuta flessuosa nei confronti della vita e questo, forse e dico forse, mi consente di trattenere molto e farmi, paradossalmente, molto meno male. La presuntuosità di noi umani, invece, è talmente sconfinata che c’impedisce di accettare una cosa fondamentale: che non possiamo modificare l’immodificabile. Non è saggio illuderci che sempre e comunque la nostra volontà sia in grado di piegare gli eventi, o il loro svolgimento, ai nostri desideri, alle nostre paure. Quello che, sempre credo, è in nostro potere fare è piuttosto interpretare ciò che ci capita e poi, con l’effetto rete, cercare di portare dentro di noi il meglio che siamo riusciti a pescare. M badate bene, non solo quando il mare è calmo, ma anche e principalmente quando nel nostro oceano si scatena la tempesta. Ma uscendo dall’acqua, elemento non a tutti congeniale, potremmo dire che la nostra esistenza è un cammino e il destino ci circonda di miliardi di occasioni. Arrivare a saper cogliere vuol dire sapere essere arrivati a saper riconoscere quello che è bene oltrepassando ciò che non lo è. Sapere scegliere e quindi scindere, ma con morbidezza, assecondando la vita.
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