Prendendo spunto dalla poesia che ho di seguito pubblicato, vorrei parlare del tempo che è argomento che mi interessa assai. Non senza segnalare che le sintonie mentali esistono e se andrete nel blog della mia amica Marina ( ineziessenziali) ne avrete la riprova.
Il tempo, per me, è divenuto estremamente importante quasi improvvisamente.
Non che in tempi più remoti non lo fosse ma la consapevolezza della sua preziosità mi sfuggiva largamente.
Fortunatamente un giorno il Sig. Destino ha deciso che era arrivato il momento che io, come al solito assai distratta, prendessi coscienza di quanto il tempo fosse si un concetto astratto, ma comunque fortemente determinate al di là delle lancette moderne che poiché, ormai inventate, svolgono il loro compito non smettendo mai di girare.
Insomma arrivò questo particolare momento in cui la sovrapposizione degli eventi, decisi dal Sig. Destino, mi costrinse ad una nuova valutazione del mio tempo.
Mi trovai nel giro di poche settimane rinchiusa in una serie di situazioni che mi costrinsero a dedicare la maggioranza delle mie ore giornaliere ad uno spazio lavorativo lunghissimo ed infruttuoso.
La cosa di per se già costrittiva e frustrante si accostò al tempo determinato che una persona a me molto cara vedeva segnalata a lettere maiuscole e rosse sulla propria tabella di marcia.
Imparai allora, vivendo la contrapposizione di queste due parallele situazioni, quanto sia assurdo il modo in cui io, come molte altre persone, impiego incoscientemente la concessione che la vita mi ha donato.
Da una parte vedevo il conto alla rovescia che può arrivare improvviso e senza appello e dall’altra ero costretta, per il vile ma necessario denaro, a restare inchiodata, per un tempo veramente sproporzionato, a giornate trascorse senza poter far nulla se non stare chiusa dentro le stanze del mio ufficio.
Lo sfregarsi di queste due contraddizioni mi portò ad una inevitabile presa visione di come la nostra società ci costringa in situazioni paradossali e questo in un crescendo inarrestabile mi ha condotto ad avere un attenzione nuova nei confronti del mio tempo e del suo utilizzo.
E poiché gli spunti di riflessione sgorgano come cascate nell’istante in cui un ambito specifico inciampa nel nostro interesse personale, durante un viaggio lungo il Nilo quello che aveva iniziato a fare capolino dentro di me nel beato mondo occidentale si inerpicò velocemente nella cima delle mie convinzioni.
Le rive del Nilo sono una dimensione sospesa nello scorrere dei secoli e il lento languire della vita che si svolge nei due lembi che divide ha un fascino ed un impatto sensitivo difficilmente descrivibile.
So soltanto che anche intrufolandoci all’interno di questa terra i miei compagni di viaggio che, come me avevano pagato lautamente la loro vacanza, sembravano incapaci di adattarsi alla lenta bellezza di quello che stavano vivendo.
Io li osservavo e non capivo. Ero totalmente incapace di comprendere perché loro, nonostante i privilegi da cui provenivano e che avevano trascinato sfacciatamente tra quella modesta gente, continuassero ad essere così infelici, costantemente irritabili per qual si voglia inezia. Erano ciechi delle loro fortune e della bellezza struggente che li circondava. Volgevo il mio sguardo tra i loro occhi, presuntosi ed insofferenti, e quelli dolcemente rassegnati eppur ridenti di chi incontravamo lungo la via. E non esisteva paragone. Questa umile gente batteva tutti noi dall’alto della propria atavica saggezza e mi chiedevo continuamente dove fosse il centro di questa capacità a noi quasi sconosciuta.
Tartassai di domande la nostra guida Tamar, un ragazzo non ancora trentenne, già sposato ed in attesa del quarto figlio che parlava perfettamente oltre che la nostra lingua anche l’inglese e lo spagnolo. La sua preparazione, la dolcezza delle sue parole e l’infinita pazienza che porse per soddisfare ogni mia curiosità mi condussero a capire qualche cosa che avevo iniziato ad intuire.
Lo svolgersi della loro giornata era difficile, ostacolata da mille difficoltà che noi non eravamo neanche in grado di sfiorare nel nostro egoismo, ma di contro, avevano dalla loro un dato oggettivo che li poneva in una condizione, quella si, invidiabile rispetto a noi: avevano tempo. Ed allora ripensai velocemente a tutti i luoghi del mondo che avevo visitato e mi resi conto che, laddove la gente sorrideva nonostante tutto, anche di fronte ad una vita infame conservando una dolcezza squisita, ebbene, in questi luoghi privati di molto, le persone conservano se non altro il privilegio del loro tempo.
Certo può apparire assai frettoloso giudicare la loro serenità legandola a questo unico aspetto ma continuando a sforzare la mia capacità di comprensione non riesco a vedere molte altre risposte se è vero che noi, gli opulenti occidentali continuiamo ad essere così rabbiosi ed irascibili anche durante le nostre cosiddette vacanze.
Io sono una di quelle persone che, sempre in nome del vile denaro, si vede costrette a dedicare al proprio lavoro ed al tempo per gli spostamenti necessari dalle 10 alle 12 ore al giorno. Quando torno a casa sono talmente abulicamente annientata da strisciare come un verme dalla tavola al divano per poi condurmi già addormentata sopra al mio letto che mi troverà ancora stanca la mattina successiva quando, la metallica sveglia e non il gallo, mi annuncerà che un’altra uguale giornata mi attende.
Non voglio tediare nessuno con le mie lamentele personali ma ogni giorno, d’allora, mi alzo e mi chiedo se sono veramente una privilegiata od una stupida, ormai persa in dinamiche che non riconosco più totalmente valide, contro le quali fatico a destreggiarmi od ad imporre la giusta determinazione per riprendermi la mia vita ed il mio tempo.
Ad onor del vero per dare un senso costruttivo alle miei “chiacchere” devo dichiarare che ci sto provando, ce la sto mettendo veramente tutta per cambiare quello che potrebbe sembrare una via segnata. Intanto ho rallentato i miei ritmi personali, quelli su cui ho un controllo diretto, diciamo che cerco di prendermela comoda appena posso. Ho poi gettato le redini delle mie manie carrieristiche da cui mi ero fatta attanagliare. E poi, il dato più importante è che sto cercando di trovare una via di fuga a questa tipologia di lavoro. Ma non è facile. I desideri di agiatezza da cui mi sono fatta avviluppare stentano a trovare una decisione ferma nel mandare tutto all’aria e vivere con meno mezzi ma più libertà. E si, perché in fondo a tutto ciò ho capito che io sono una schiava, una schiava sottomessa e priva di vero coraggio. Le mie schiavitù sono infinite e non ne sono orgogliosa ma almeno le ho inquadrate e forse, dico onestamente forse, arriverà il giorno in cui riuscirò a liberarmene. Nel frattempo mi dimeno e dilanio nella consapevolezza che questo tempo e quello già passato non l’avrò in dietro e che, per quanto il lavoro sia indispensabile e civicamente giusto in un contesto sociale, non esistono ricompense a giornate intere dedicate ad un unico ambito della propria vita nel sacrificio di altri assai ed indiscutibilmente più importanti. Ma nel frattempo lotto, con me stessa e con i pregiudizievoli obblighi di una società che dietro una patinata facciata sta divenendo sempre più tirannica.
2 commenti:
Unica salvezza il viaggio, continuo e mai infruttuoso, che il nostro pensiero si concede al di là di queste mura giallastre e costrittive...
Quanto ha ragione Polle, quanto..
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