Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

venerdì 13 luglio 2007

Con le migliori intenzioni.



“ A volte con le migliori intenzioni si commettono i peggiori crimini”.

Lo sosteneva quel gran genio di Oscar Wilde ed io ho riscontrato molte volte l’esattezza di questo aforisma. L’ultima appena qualche giorno fa.

Per l'appunto, qualche giorno fa tornando a casa nel canicolare orario del dopo pranzo ho parcheggiato, come sempre, la mia macchina sotto casa.

Io abito in una strada in cui non esistono negozi. C’è il cancello che conduce alle palazzine del mio condominio e poco dopo l’ingresso di un convento. E basta.

Ad inizio via una fermata dell’autobus, e poi soltanto alberi e dossi scoscesi su cui crescono disordinatamente ma liberi vari tipi di piante.

Descritta così la mia via appare per quello che potrebbe essere e cioè un placido tratto di strada poco frequentata dal passaggio pedonale. Nel suo insieme è quindi una bella strada, grande, luminosa e verde. Peccato che l’essere poco frequentata l’esponga quotidianamente ai riti incivili della sporcizia: quella leggera, fatta di pagine di giornali volati fin lì da chissà dove, di cartacce anonime, volantini e volantoni pubblicitari depositati e mai letti. E poi a quella molto meno sopportabile creata da chi nell’assenza di costanti presenze umane si sente libero di trattarla come una discarica a cui affidare pezzi vecchi o non più funzionanti della propria vita o della propria casa.

Insomma, mentre con la macchina ormai ferma racimolavo oggetti e borse, nel rito finale della mia giornata lavorativa, mi accorgo che sedute sul muretto a pochi metri da me, due persone di colore, un uomo ed una donna, educatamente sistemati su vari strati di cartone stavano consumando un frugale pasto, in una sorta di pic nic metropolitano. La cosa avviene spesso in quel tratto di marciapiede perché le piante creano una piccola copertura dal sole ed il muretto invita ad una abbastanza comoda seduta. Fin qui quindi nulla di strano. Sono tranquilli e soprattutto mi è impossibile non essere solidale con chi è talmente disperato da doversi accontentare di quel desolato ed angusto spazio per rifocillarsi da una giornata ingrata.

Ieri quindi dopo aver rivolto loro il solito sguardo benevolo mi stavo avviando verso casa. Ad un tratto però l’uomo, sfogliando un giornale che aveva con se, ha visto scivolar via una pagina e dopo averla osservata cadere la lasciata strusciar via senza accennare minimamente al gesto di andarla a raccogliere.

Istintivamente mi sono fermata. Ho pensato che quella negligenza mi dava fastidio e nel contempo mi spiegava perché la via si riempisse così spesso di cartaccia ed ho valutato se fosse il caso di dire qualcosa oppure, spinta dalla solidarietà di cui sopra,lasciare che le mie parole scivolassero via nel silenzio delle mie considerazioni, insieme a quel solitario foglio di giornale.

Nel tentennamento ho inizialmente pensato di assecondare quest'ultimo pensiero, ma poi voltandomi verso il mio cancello ho notato quanta cartaccia, sporca ed ormai ingiallita imbrattasse il marciapiede ed un moto di rabbia ha avuto la meglio sul mio proposito di silenzio. Ed allora, non volendo infierire con un rimprovero troppo severo sulla vita disgraziata di quelle persone ho optato per un comportamento soft: ho raccolto io il foglio di giornale e passandogli accanto gli ho chiesto di prestare più attenzione la prossima volta. Mi sembrava un giusto compromesso, ed invece ho scatenato una reazione verbalmente violenta nell’uomo che ha iniziato immediatamente ad alzare la voce e giustificando quella sua disattenzione come una piccola cosa che non avevo nessun diritto di segnalargli, poiché da giorni si occupava diligentemente di tenere pulito quel tratto di strada. Io non lo sapevo, ed ho capito al volo che avevo urtato la sensibilità dignitosa di chi, anche nella difficoltà, cerca di mantenere una specie di pulizia per se e per la collettività da cui si sente comunque ed inevitabilmente emarginato.

Ho cercato di spiegargli che apprezzavo i suoi gesti e che non volevo rimproveralo ma soltanto richiamare la sua attenzione e che inoltre avevo raccolto io il suo foglio e quindi, non doveva agitarsi così. Ma non c’era verso, lui si arrabbiava sempre di più e la donna che era con lui cercava di calmarlo dicendogli frasi che non capivo e che dai gesti intuivo avessero la finalità di richiamare su di se la sua attenzione. Nell’impossibilità di calmarlo con le miei rassicurazioni verbali l’ho salutato e mi sono avviata verso la mia abitazione ma lui, mentre avevo già voltato le spalle, mi ha chiamato: “ Bush”. E questo non ho potuto tollerarlo. Proprio a me, persona da sempre fortemente contro i massimi poteri, attenta sostenitrice dei valori e della dignità di ogni singola persona e quindi ancor di più nei confronti di quelli bastonati dalla vita, no, non era possibile sentirmi apostrofare così.

Sono tornata indietro, mi sono riposizionata davanti a lui, ed in un crescendo vocale ho cercato come meglio potevo di spiegargli che si stava sbagliando, che non era proprio il caso di attaccarmi e via dicendo. In un attimo i ruoli si erano capovolti, ed io mi sono sentita oggetto delle stesse pregiudizievoli opinioni di chi parla ed addita per partito preso.

Nel momento in cui la discussione si andava amplificando da parte dell’uomo anche ad una violenza espressiva e gestuale che non era più possibile gestire mi sono voltata di nuovo, e finalmente mi sono avviata verso casa.

Lungo la strada ho pensato a come fosse difficile comprendersi senza inciampare continuamente in un ormai cronicizzato preconcetto e che se quello ne era solamente il minimo ed in fondo stupido esempio, figuriamoci cosa accade in ogni persona, qualunque sia la sua etnia quando ci si scontra su argomenti ben più seri. Ad ogni passo mi tornavano in mente i suoi occhi e la disperazione che emergeva continuamente dal timbro della sua voce, e da quanto si fosse sentito offeso per essere stato ripreso dopo che, secondo lui, si era prodigato per mantenere decoroso il luogo dove era costretto a sostare. Ed allora mi sono sentita una stupida ed anche una un pochino stronza perché, io, proprio io, l’avvocatessa dei poveri, ero caduta nel tranello di volergli insegnare qualcosa che in fondo sapeva già e cercava d’applicare come meglio poteva. Certo, era pur vero che quel foglio di giornale l’aveva lasciato andare ed avrebbe potuto tranquillamente accettare il mio piccolo rimprovero senza inalberarsi tanto. Ma il punto era tutto lì, nella fatica del suo vivere, nella volontà ferma di dimostrare a se stesso ed alla sua donna che la vita conservava, anche in quella becera situazione, un aspetto pulito ed ordinato, che era lì, sotto gli occhi di tutti, perché lui lo voleva e non si arrendeva al destino infame che l’aveva condotto a vivere come certamente non voleva.

Aperta la porta di casa la decisione era quindi già presa. Ho posato le miei cose, ho salutato mio figlio ed i suoi amici ed arrivata in cucina ho preso un grosso succo di frutta, una confezione intonsa di dolcetti, una bustina con dei tovaglioli e dei bicchieri e mi sono avviata nuovamente da loro, decisa a stabilire una tregua e soprattutto a sancire, con un bicchiere di succo di frutta, una nuova amicizia.

Mi sono avvicinata, gli ho detto se gli andava di bere una cosa insieme e mangiare un dolcetto, convinta che loro avrebbero capito ed apprezzato ed invece la loro reazione mi ha subito fatto comprendere che avevo, sempre con le migliori intenzioni, commesso il mio secondo sbaglio nei loro confronti. La donna si è alzata e mi ha fatto capire con i gesti che non aveva nessuna intenzione di spiluccare con me e che, anzi, questo l’offendeva ulteriormente. L’uomo da prima più colpito e propenso, vedendo la reazione di lei si è negato questa stretta di bicchieri e mi ha detto che non avevano bisogno di nulla. Io, mortificata, ho cercato ancora una volta di spiegargli che il mio era soltanto un modo per dimostrargli che non avevo pregiudizi e che mi dispiaceva se le mie parole gli avevano fatto capire il contrario. Lui deve aver capito. Mi ha mostrato dei libri su cui stavano studiando, una Bibbia alla quale si aggrappavano per accettare la difficoltà di una vita che non avevano scelto e da cui cercavano di riscattarsi come meglio potevano ed ha concluso con un: “ la prossima volta” e l’ha chiusa lì. Io gli ho chiesto scusa per aver dato importanza ad una piccola svista e che apprezzavo il suo impegno per la nostra strada. Gli ho infine chiesto il suo nome e l’ho pregato di spiegare alla sua amica le mie buone intenzioni e poi, dopo un reciproco saluto, mi sono avviata mesta verso casa.

Avevo appena avuto la seconda dimostrazione che forse, per quanto non fosse assolutamente mia attenzione ferirli, l’avevo appena fatto, e per ben due volte, convinta tra l’altro nella mia boriosa, anche se inconscia presunzione, di essere democratica e dalla loro parte.

Forse loro sono stati un po’ rigidi, e questo glie l’ho anche detto, ma io sono stata indelicata e superficiale. Quel foglio di giornale stava volando via ed essendo fatto di carta prima o poi la natura lo avrebbe riciclato e soprattutto con tutto l’inquinamento che noi occidentali procuriamo al mondo forse sarebbe stato meglio tapparsi la bocca e condursi velocemente verso casa, senza infierire, senza mettere quel povero uomo in difficoltà, come fosse uno scolaretto, di fronte alla sua donna.

Avevo pensato di salvare la mia strada da un’ulteriore foglio di carta ed in fondo, in fondo insegnargli un comportamento più socialmente civico ed invece, me ne tornavo a casa con una bella lezione di dignità su cui riflettere.

4 commenti:

polle ha detto...

Culture diverse a volte si scontrano per un nonnulla, prova a mostrare ad un greco i palmi delle mani e capirai... capita, non ci pensare!

M.Cristina ha detto...

e già...

marina ha detto...

La mia impressione è che tu come me vuoi essere sorella di tutta l'umanità. Ma non tutta l'umanità vuole essere nostra sorella.
Il conflitto esiste e negarlo non serve a niente. Non hai niente da rimproverarti.

Anonimo ha detto...

Forse hai ragione nella mia voglia di dare a volte può emergere la presunzione che tutti abbiano voglia di prendere. Magari quello che offro o come lo propongo può anche non piacere...