La stanza del tè è un luogo fisico ma è anche un luogo mentale. Le persone che si muovono al suo interno escono temporaneamente dal mondo e dal suo affanno per contemplare, durante il rito del tè, il vuoto dove dimenticare la razionalità e raggiungere un approccio totalizzante con le cose e le persone.
Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post
mercoledì 6 aprile 2011
Sguardo oltre la pelle
Corpi esposti senza pudore, piedi costretti su tacchi importabili che impediscono di camminare figurarsi di ballare. Volti acerbi o maturi truccati oltre misura. Uomini giovani e meno giovani che osservano con occhi rapaci le statuine traballanti che sfilano davanti a loro.
Era una discoteca e sembrava un’arena in cui si muovevano tori e toreri. Di certo, allargando lo sguardo, poteva rappresentare una metafora. In questo strano mondo ognuno di noi si muove nello spazio che lo circonda cercando di fare il proprio gioco. Ma qual è il gioco?
Le finalità che muovono ognuno di noi nei rapporti interpersonali potrebbero, per lo più, essere ridotte ad una formula elementare: essere amati/accettati. E per raggiungere questo scopo le proviamo tutte, ma proprio tutte, cadendo però in un subdolo paradosso che inficia frequentemente il nostro intento: il timore di svelare chi siamo, nella non remota possibilità di non sapere esattamente chi siamo. In questa epoca non proviamo, a differenza del passato, un grande pudore nell’esibire il nostro corpo, né ad offrirlo per un reciproco soddisfacimento sessuale. Abbattuti e risolti molti tabù ed impedimenti procreativi ci siamo lanciati in questa sensoriale esperienza con una certa ingordigia liberatoria. E’ stata una grande conquista che però non comporta una consequenziale conquista del soddisfacimento amoroso. Ed è qui che scatta il problema. Appagati i sensi rimane un'indefinta percezione d' insoddisfazione alla quale cerchiamo di porre rimedio usando ancora il corpo ed ancora i sensi. Ma quel languore, una specie di mancanza, non si placa perché in fondo ciò che desideriamo è essere amati ed il corpo rimane una barriera tra noi e l’altro. Per amare ed essere amati bisogna oltrepassare la pelle ed aver il coraggio di mostrare all’altro qualcosa di assai più intimo di un corpo nudo: dovremmo concedergli di guardare la nostra anima.
Rischiosissimo a detta dei più, inevitabile se dai sensi vogliamo approdare ai sentimenti. Ma soffriamo un’istintiva paura e tendiamo a celare l’intimità fragile di cui siamo proprietari. Siamo frenati dal timore di venir feriti, derubati, non compresi e ci nascondiamo.
Vorremmo che qualcuno intuisca le nostre meraviglie in modo divinatorio, giustificando i nostri limiti, comprendendo le nostre difficoltà, senza ovviamente esporre il nostro amabile cuore a dei veri rischi. L’altro dovrebbe compiere un atto di fede senza conoscerci, senza che gli sia veramente permesso d’entrare nella nostra interiorità. Vogliamo dedizione e non siamo disposti a dare fiducia.
Incredibile no?
E in attesa che questo miracolo si compia, quello che ci sembra più semplice e meno pericoloso fare è esporre il nostro corpo, abbellirlo, pitturarlo, scolpirlo concederlo. Sorprendentemente l’intimità fisica non c’impensierisce, quella dell’anima sì. Eppure è quella la vera meraviglia a cui ambiamo, l’incanto sublime, magari temporaneo di cui vorremmo essere protagonisti almeno una volta nella vita. Ma come possiamo riuscirvi se noi stessi abbiamo paura di sprofondare oltre la nostra pelle, quasi temessimo di scoprire chi siamo?
E questo è un ulteriore paradosso: pur guardandoci con diffidenza od insoddisfazione pretendiamo che l’altro ci guardi con meraviglioso incanto. Che strani tipi siamo…ci teniamo a galla, navighiamo a vista, senza immergerci mai o quasi mai né in noi né nell’altro.
Troppo faticoso mi si dice in genere ed è vero. Ma allora come pretendiamo di essere visti celandoci, essere capiti senza perdere tempo a capirci. Come può l’altro comprenderci la dove anche per noi regna solo il caos? Imputiamo agli altri delle incapacità, una disattenzione che a volta ci appartiene.
Vaghiamo dunque per questo mondo offrendoci all’altro come potrebbe farlo un bambino pieno d’inconsapevolezze ed ingenuità. Cercando, allo stesso tempo, d’ingannarlo con un’immagine e non seducendolo per ciò che siamo. Vorremmo essere amati a prescindere non amandoci a prescindere.
Ci raccontiamo un sacco di storie, le proponiamo agli altri ma che paura andare a scoprire quali sono i nostri effettivi limiti, le zone d’ombra, gli inevitabili difetti. Però poi, a ben pensare, come possiamo scoprire le vette che potremmo raggiungere se non abbiamo la forza e l’ardire di esplorarci? La vita è un viaggio e non conoscersi e non permettere a nessuno di conoscerci profondamente rende, a mio parere, quasi inutile la gran fatica che comporta esistere.
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2 commenti:
Che dire di più … è la verità. Ammiro il modo … vellutato, che hai usato per esprimerti in questa riflessione. Ti riporto parte di un mio pensiero di qualche mese fa.
“In fondo siamo in un’epoca nella quale, per molti, l’apparire è più importante della sopravvivenza. Ma non è questa la cosa più tragica. Secondo me, quello che spinge, sia le nuove sia le vecchie generazioni, a un comportamento superficiale verso se stessi e tutto il resto, è la cronica incapacità di pensare con la propria testa. Magari si è convinti di farlo, ma troppo spesso non è così. L’input che riceviamo dall’esterno, TV, giornali e “voci di quartiere”, ci tirano per la giacchetta in continuazione, cercando di farci pensare o credere qualcosa che non ci appartiene. La nostra tendenza a non affaticare troppo il nostro cervello e non assumerci responsabilità, fa’ il resto, riuscendo spesso a indurci a credere di avere una opinione obiettiva su un argomento, mentre la realtà è ben diversa: siamo stati fregati senza esserne consapevoli. Conoscere se stessi fino in fondo porta a essere saggi, perché rivela a se stessi le proprie capacità e i limiti, ma soprattutto dà un senso a quello che desideriamo per noi e quello che siamo disposti a cedere agli altri, con chiarezza e con il cuore in pace. Questa cosa non è gradita alle nostre istituzioni politiche e religiose, quindi, invece che agevolarla per una società migliore e più consapevole, è osteggiata in tutti i modi possibili. “
Il risultato, nelle nuove generazioni, sono quegli automi che descrivi, che per essere amati e accettati, non hanno argomenti oltre al corpo, (spesso imbottito di pastiglie e alcol), e l’esibizione di un alter ego confezionato su misura al momento del bisogno.
La " società" decide epoca per epoca quali devono essere i nostri modelli, i nostri obiettivi e noi ci facciamo amaliare e convincere ingurgitandoli certi che ci piacciono e siano sani e saggi per noi. La fatica di rimanere dietro a questa sbrilluccicante scia stronca molte delle nostre forze e annulla molte volontà. E' questo il giochetto: lasciare poche energie e capacità di riflessione.
Tuttavia volendo, non senza un certo sforzo è possibile provare a snebbiare la mente. Come diceva Schopenhauer:" O si pensa o si crede".
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