La stanza del tè è un luogo fisico ma è anche un luogo mentale. Le persone che si muovono al suo interno escono temporaneamente dal mondo e dal suo affanno per contemplare, durante il rito del tè, il vuoto dove dimenticare la razionalità e raggiungere un approccio totalizzante con le cose e le persone.
Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post
mercoledì 24 agosto 2011
Il mio incontro con Woody
E’ una torrida mattina di fine agosto. Respiri e sudi. Sudi e respiri.
Chiudi la porta di casa e ti auguri di non arrivare in ufficio in forma liquida.
Apri il portone ed affronti rassegnata il muro di afa.
Sali in macchina, accendi lo stereo, vai.
Un paio di svolte e ti trovi davanti ad una strada chiusa; un enorme gonfiabile volteggia tra due palazzi.
Pensi che il caldo insopportabile stia spingendo qualcuno ad un gesto estremo. Domandi.
“No signorì, è Woody Allen che sta a girà un firm”.
Sul tuo viso, ne sei certa, si sta dipingendo un’espressione ebete.
Scendi dalla macchina e ringrazi l’universo.
Con timidezza ti avvicini al set.
Chiedi se lui arriverà, un tecnico ti risponde che è già lì.
Un gruppetto di persone si scioglie e compare lui, uno dei tuoi registi preferiti.
Lo guardi incredula. E’ come assistere alla materializzazione di un’immagine.
Non è normale uscire di casa ed incontrare Woody Allen. O forse sì.
Ti guardi intorno. Quella strada a te familiare è un via vai di gente affaccendata: macchinisti, addetti alla fotografia, al suono, al microfono. Vedi trasportare luci, alzare pannelli, spostare cineprese. Vedi le sedie in cui si siederanno attori e registi, i video su cui ricontrolleranno le scene.
Ma chi avrà deciso di portare il cinema dentro casa tua in un torrido giorno di fine agosto?
Ti senti una giapponese in preda ad un raptus fotografico.
Un tipo con cartellino e qualifica non ben specificata ti guarda divertito.
“ A signorì, certo se era Bradde Pitte era mejo!”
Ci pensi un attimo, devi ammettere che forse ha ragione, però…
“ Beh certo, ma è Woody Allen e io l’adoro”.
Lo dici convinta, ma il tipo ti guarda scettico.
L’ufficio ti sta aspettando, ma al diavolo, questo momento non ricapiterà!
Un uomo con ricetrasmittente t’invita carinamente ad avvicinarti. Lo guardi stupita; in genere gli uomini della sicurezza tirano su un’invalicabile “cortina di ferro”.
“Venga signorì, venga che il regista è uno tranquillo”.
Sorridi. I romani sono veramente fantastici e chiunque ti definisca signorina lo adori a prescindere. Prendi coraggio e muovi qualche passo.
Lui è a pochi metri da te, indossa un cappello da pescatore, sul naso ha i famosi occhiali, nella tasca dei pantaloni qualche foglio del copione arrotolato.
Muovi altri passi fissandolo. Lui distoglie lo sguardo dal suo interlocutore e per qualche istante i vostri occhi si guardano. In quel preciso istante sa che tu esisti. Lo sai che è un pensiero idiota, ma è sempre quell’idea che ti intriga di quante possibilità c’erano nella vita ecc eccc…
Sei perfettamente cosciente che tra qualche minuto avrà cancellato te e quegli istanti. Ti ripeti che probabilmente ti guardava pensando, con la sua implacabile ironia, che una donna adulta che lo fissa sorridendo in modo beota avrebbe bisogno di un sostegno psicologico. Sai tutto, ma te ne freghi. Anzi, sei felice del tuo abbigliamento, di essere ben pettinata e degnamente truccata. Non sei stravolta o sciatta nel momento sbagliato, davanti all’uomo giusto.
Scioccamente ti compiaci, tanto ormai sei dentro ad un film nel film. Da buona romana in un batter d’occhio sei diventata regista ed interprete di una pellicola che vedi solo tu. Ma ancora una volta: chissenefrega! Anche questa è vita.
Intorno a te continua a muoversi il mondo del cinematografo con il suo gergo e delle battute che andrebbero immortalate; un cameo nel cameo. Un tecnico canticchia “Malafemmina”.
No, questo non è un giorno normale, è cinema irreale, ma è tutto dannatamente perfetto.
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