Se c’è una cosa che amo del mio lavoro è l’opportunità che mi offre d’incontrare persone che difficilmente mi capiterebbe di conoscere.
La cosa che invece amo della vita è che, nei modi più impensati, sa dimostrami che ciò che pensavo vero può essere rimesso in discussione e guardato da altri punti di vista.
Oggi, per esempio, avevo scritto un post su i commentatori dei blog e per la seconda volta in una settima l’ho dovuto modificare.
Nel primo post mi domandavo per quale motivo due tipologie di blog ricevono tantissimi commenti: quelli impegnati e quelli dei fancazzistiti ( termine in uso per definire il nulla del fare e del dire che secondo me rende bene l’idea). Mentre tutti gli altri, quelli più intimisti vivono alterni splendori.
Nella mia prima analisi ipotizzavo che il contesto sociale, sempre più difficile, inducesse i frequentatori dei blog a scegliere luoghi dove o poter ridere o dove poter sfogare la propria rabbia. Evidenziando come, in entrambi i casi, il sociale, cioè l’esterno a noi, diviene il protagonista su cui accanirsi. Amo la satira e vivo e lavoro credendo che l’impegno politico, e quindi sociale, dovrebbe essere un comune interesse su cui confrontarsi e crescere per migliorare il nostro mondo. Ma proprio non riesco a spiegarmi perché, quando si sposta l’attenzione dal generale( colpevole del nostro becero vivere) al particolare( e cioè noi stessi ed i nostri modi di essere e quindi di approcciare al mondo) l’attenzione si fa distratta e poi corre da qualche altra parte.
Mi domandavo tutto ciò quando, per motivi di lavoro, ho assistito ad una iniziativa promossa dalla Provincia di Roma intitolata “ Gli Stati Generali contro il razzismo.” E qui, tra un discorso e l’altro, ha preso la parola un uomo di colore che ha fatto a tutti un discorso chiaro, riassumibile in questo semplice concetto: il razzismo non nasce dal nulla, ma ha una sua origine, un suo percorso che si sviluppa negli anni e lascia delle tracce visibili lungo il cammino. Bene, dove eravamo noi mentre questo accadeva? O meglio, mentre qualcuno faceva in modo che questo fenomeno crescesse e si impossessasse della società?”
E già, dov’eravamo noi? Dove eravamo mentre una parte dei nostri governatori gettava le basi e poi i muri portanti di questa società che tanto denigriamo, beffeggiamo e su cui ci accaniamo con tanta animosità? E già, dov’eravamo?
Dov’eravamo mentre smontavano mattone dopo mattone il lavoro certosino di chi ci ha preceduto? Un lavoro fatto, è vero, di lavoro e sacrifici, ma anche di valori e solidarietà, di sussistenza e pari opportunità?
E queste domande mi riportano alla mia idea iniziale: perché urliamo al buio cattivo e minaccioso e non proviamo ad illuminare le nostre ombre interiori? Perché non siamo capaci di dirci che abbiamo voluto credere, non tutti certo, alla fiction che ci avevano propinato come possibile e reale? Facili guadagni, un’esistenza di agi e possibilità di vivere con la morale dei protagonisti di Beautiful, tutti felici e contenti compresi i figli che, tranquilli avrebbero compreso questo mondo di adulti capricciosi ed incontentabili . Ed ora, ora che il nostro personale “ The Truman Show” ha rilevato le crepe del suo sfondo, e noi ci siamo accorti che il sole che speravamo scaldarci in eterno ha invece bruciato il fusibile, ora, ci sentiamo una massa di illusi che hanno difficoltà a rientrare nel mondo reale. Quello mondo in cui, se invece di pensare solo all’Io, all’adesso e che m’importa del vicino, avessimo lavorato su i nostri egoismi, le nostre paure, sul nostro futuro, forse il mondo sarebbe meno inquinato, più vivibile e con gli aiuti giusti ed equamente distribuiti forse, dico forse, staremmo tutti meglio e non ci ritroveremmo quasi tutti con il cosiddetto per terra a piangere lacrime amare.
E questo mi riporta all’argomento iniziale. Nei blog, così come in altri luoghi, stiamo continuando a sfuggire, sempre secondo me, il punto centrarle del problema: siamo noi, singoli individui a dovere capovolgere il nostro intimo modo di porci nei confronti del mondo. Siamo noi che dovremmo tornare a pensare che oltre “noi” non è “chissenefrega”, ma “me ne frega” perché il mio “chissenefrega” sarà inevitabilmente il “chissenefrega” di un altro e questo ci imprigionerà un circolo vizioso d’indifferenza che, com’è ovvio, colpirà tutti. I politici non sono che la rappresentazione della nostra collettività, così come gli dei lo erano per gli antichi: potenti sì, ma simili agli uomini per vizi e virtù. Nulla di nuovo, insomma.
13 commenti:
Cara M.Cristina, ti raggiungo da Marina. Condivido totalmente quanto hai detto. Se dai un'occhiata al mio blog potrai vedere che siamo molto in sintonia. Ti linko. Giorgio.
Ciao Giorgio, benvenuto. Sono già andata a fare due passi nel tuo blog e mi è piaciuto ciò che scrivi. Linkato! A presto.
ti chiedi dove eravamo noi...non lo so...mi sembra di non sapere più nulla! sono d'accordo con te, profondamente. Ma la mia sfiducia è tale che mi fa pensare che le voci che gridano "me ne frega" siano troppo poche o forse troppo poco convinte...
Ho 30 anni ed ho la sensazione che "l'altro" non ci sia...
è spaventoso!
IO CI SONO
paola 30 dancer
Paola: e allora perchè non dovrebbe esserci l'altro? perchè dobbiamo coninuare ad avvalare questo assurdo modo di accostarci al mondo. Perchè non ci rendiamo conto che questo modello stile "fiction" ha miseramente mostrato le sue maliconiche meschinità e non funziona? Perchè mi dico vogliamo tutti un mondo più buono e poi siamo tutti arrabbiati ed aggressivi? Non so Paola ci sono mille perché ma basterbbe iniziare e tutto forse potrebbe ripartire.
baci
Purtroppo, e dico purtroppo, esiste il problema dell'appartenenza. Non quella che ci piacerebbe vivere in tutti i suoi contenuti e nella convinzione del percorso della sua affermazione, ma quella che la sopravvivenza ci costringe a frequentare, perchè comunque ci dobbiamo essere lì dove siamo.
E' questo quello che ci logora e che ci fa invecchiare e difficilmente si riesce a sottrarsi ad affermazioni e comportamenti quotidiani che ci garantiscono, anche se molto lontani da noi.
Baci
Paolo è vero il senso dell'appartenenza ha un grosso potere sull'uomo e sul suo comportamento. Forse a volte non si sentirebbe d'accordo, ma pur di esser dentro, con, fra, accetta e si adegua. hai toccato un punto nevrelgico. Anche l'indifferenza è legata a quest'aspetto: seguo la massa e non mi curo di domandarmi, di capire, di andare oltre quello che mi viene detto. poco tempo fa una delle frasi che mi veniva ripetuta più spesso era: è così che va! Come per giustificare che i singoli comportamenti erano conseguenza di un adeguamento all'andamento sociale. E' proprio come tu dici e credo che ora la difficolta che non sappiamo accettare sia proprio quella di non avere il coraggio di dire: ma dov'ero? spostando dagli altri a me parte delle colpe. Anche se il termine colpe non mi piace e mi da troppo di senso di colpa. Tuttavia io lo uso nel senso di "consapevolezza".
Hai più che ragione, Cri, tocchi un punto centrale. Io penso che nel nostro desiderio di migliorare il mondo alla critica dell'esistente dovremmo aggiungere il lavoro su di noi. Ma è faticoso e fa soffrire..
marina
Quando penso a questa frase:" E' faticoso e fa soffrire." Mi viene spontanea una domanda:" Ma vivere in questo modo non genera comunque sofferenza?" Una volta saremo noi ad alzare le spalle e irarci dall'altra parte, e questo ci darà l'illusione che il problema non ci appartiene e possiamo evitarlo e quindi non soffrire. Quando però, la ruota si ribalta e toccherà a noi cosa faremo. Alzeremo il nostro dito imprecando contro l'indifferenza altrui? Perchè è quello che più o meno vedo accadere. come hai detto in un tuo post è facile alzare il bastone verso gli altri, assai più difficile è rivolgere la stessa severità verso noi stessi. I risultati però sono davanti ai nostri occhi. Inutile poi ricriminare.
Beh dopotutto nel blog tenera è la notte avevo scritto che se si vuole cambiare e migliorare il mondo dobbiamo cambiere e migliorare per primi noi stessi. Era una frase di Gandhi. Ma non è facile. Siamo troppo "sporchi" ormai, l'uomo è sempre stato così. Sempre. Purtroppo.
ebalsamin: e non sarei così catastrofica e poi se ci fai caso nella tua frase 'c'è una piccola contraddizione che mi fa pensare che nenanche tu sia così pessimista. Tu dici: " Siamo troppo sporchi, ormai" e poi aggiungi " l'uomo è sempre stato così". Ma "ormai" e "sempre stato" non parlano dello stesso pensiero. Io concorcordo con te nel credere che gli uomini cadano spesso negli stessi errori, ma è pur vero che sono anche capaci di migliorarsi,e il percorso umano è lì a dimostrarcelo. Gli esseri umani si rigenerano continuamente, nuove menti e nuovi corpi nascono e contribuiranno a produrre nuova forza e nuovi pensieri. Ed è su questo, anche su questo che possiamo sperare.
Un abbraccio
Mi sento in sintonia con quanto dici, Giulia
Grazie Giulia.
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