Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

mercoledì 14 settembre 2011

Donne


E’ una calda sera d’inizio settembre.
Nel cielo una luna quasi piena.
Questa sera è sera di Taranta.
La cavea dell’Auditorium è colma di gente e per la prima volta uno spettacolo non prevede posti a sedere.
La musica inizia ad avvolgerci e le donne diventano subito un’onda che danza.
Le osservo mentre i corpi si muovono seguendo il ritmo incalzante di una musica antica divenuta moderna.
Molte ballano a piedi scalzi, tenendo le balze delle gonne tra le mani. Sorridono.
Sembrano delle bambine. Bambine felici.
Ballano in circolo e si guardano, si guardano e si sorridono.
Incantate dalla musica ritrovano complicità, somiglianze.
Ho l’impressione che la musica ci trascini tutte indietro o in avanti. Di nuovo dentro ad una femminilità che oltrepassa l’ibrido in cui siamo imprigionate.
I piedi battono il selciato, il sudore scivola sui corpi, i cappelli si muovono come girandole.
Non so quali punti del corpo raggiungano questi suoni. Non so se la musica si diffonda risalendo dalle gambe o cada invece sulle teste inebriando la mente.
Ma questa onda di donne danzanti esprime la gioia dei corpi e la loro profonda bellezza.
I molti uomini presenti ci osservano stupiti; la forza dell’atavica femminilità gli è quasi sconosciuta.
I loro occhi raccontano per loro il piacere di quest’incontro.
L’onda continua a danzare anche quando tra la folla si fa largo un gruppetto di amiche. Forse sono capitate in questa piazza per caso, forse non conoscono il significato di questa musica, forse...
Indossano abiti attillati, tacchi proibitivi, borse firmate appese a braccia atteggiate in posture innaturali. Gli immancabili iPhon tra le mani. Si fermano in mezzo all’onda senza ballare.
Il ritmo della musica non sembra raggiungerle.
Esili figure statiche.
Così impietosamente fuori contesto. Caricature di una femminilità falsamente sofisticata.
Ogni donna ha il suo modo di essere donna, è la meraviglia dell’umanità il suo racchiudere infinite sfumature. Ma queste donne sono cloni umani di manichini anonimi.
Malinconici.
Intorno a loro donne di ogni età ridono, si agitano e poi saltano e giocano sfiorandosi nelle improvvisate coreografie.
Non calzano tacchi che minano le loro caviglie, non indossano abiti che serrano i corpi.
Sono libere.
Libere.
Libere di sudare.
Sporcarsi.
Spettinarsi.
Libere di ballare, non ancheggiare, ballare.
Libere di lasciarsi andare.
Libere di seguire un ritmo intimo, unico.
Ballano tra loro queste donne, non per gli uomini che le circondano.
Non vogliono sedurli ed è questo che li seduce.
Gli asettici manichini intanto si fotografano tra loro.
Sorridono ai cellulari, non si sorridono.
Sempre ferme, sempre contratte.
Donne patinate. Pettinate. Perfette.
In questa calda notte della Taranta, chissà, chissà dove hanno dimenticato se stesse?


giovedì 8 settembre 2011

Gli indifferenti


Per la mia nazione sono i giorni del risveglio, un brutto risveglio.
Dopo un sonno paragonabile a quello di un incantesimo, il popolo si è destato.
Potrebbe essere una bella notizia in un orizzonte di pessime notizie. Lo è, ma solo a metà, almeno secondo me.
Mi solleva constatare che le menti sono tornate a funzionare ed i cuori a pulsare di una passione che ha il sapore intenso dell’attenzione, della partecipazione, della presa di coscienza.
Finalmente abbiamo di nuovo voglia di personalità illuminate, di pulizia morale, di etica, uguaglianza e incredibilmente di giustizia sociale!
E questo è il buono che ritorna. Era ora!
Purtroppo però il sonno è stato talmente lungo e profondo che solo quando abbiamo riaperto gli occhi, ci siamo accorti che, nel frattempo, ci avevano trascinato sull’orlo del baratro.
“Fermi tutti!”
“Pericolo!”
Le urla hanno iniziato ad echeggiare, mentre i nostri sguardi scivolavano lungo il vuoto in cui potremmo cadere.
Gran brutta sensazione quella di ritrovarsi là in fondo, sfracellati.
Niente piume, né molle, ma uno schianto secco ad accoglierci.
E poiché di schiantarci proprio non ci va, il popolo di nuovo vigile si ribella.
Niente di eclatante sia chiaro. Noi siamo gente che le rivoluzioni le fa a modo suo, con calma e possibilmente seduti sul divano di casa. Anche perché il mio popolo è un fanciullo pieno di potenzialità ma ancora acerbo.
La nostra nazione ha solo 150 anni e la giovane età non ci concede la malizia e la lungimiranza acquisita da stati ben più “maturi”.
“Un popolo pischello” direbbero i romani.
Sarà dunque a causa della giovane età che la mia bella gente non si è allarmata quando, nel corso degli anni, cricche di faccendieri lucravano sulle disgrazie d’intere regioni.
Per inesperienza non abbiamo compreso fino a che punto fossero mortali i colpi inferti all’istruzione pubblica, alla ricerca, alla dimenticata cultura.
E come potevamo sapere che il tracollo finanziario del resto mondo poteva riguardarci? Noi siamo una nazione che lavora sodo e risparmia e compra casa. Il precariato riguarda un’esigua parte dei nostri concittadini, pensavamo, per questo sembrava una faccenda irreale, lontana dal nostro consolidato benessere.
Il mio giovane popolo poi si teneva informato, ascoltava la tv ed era una costante gara di rassicurazioni: "Va tutto bene, viviamo nella penisola più bella del mondo in cui, tra l’altro, puoi anche fare degli illeciti, godertela tra giovani corpi, sbattere in faccia a tutti le tue nefandezze senza che nessuno ti chiuda in galere". No dico, perché mai la mia gente avrebbe dovuto allarmarsi o non credere o non fidarsi?
Mica è scemo il mio bel popolo, se li è scelti da solo questi politicanti.
E poi va detto, anche la religione ci confortava: siamo tutti peccatori e che dobbiamo saper perdonare. Dunque che altro avremmo dovuto fare? Abbiamo sorriso e perdonato.
Non eravamo indifferenti, dormivamo il sonno della beata gioventù.
E dormivamo sereni anche mentre qualche politico perfezionista tentava di riscrivere la nostra meravigliosa costituzione. O quando, sull’entusiasmo della famosa goliardia italica, qualcuno si lasciava andare a proclami e battute omofobe, razziste, misogine o denigratorie d’intere categorie sociali. Noi del popolo si pensava scherzassero. Quindi sorridevamo e perdonavamo.
O per lo più ritenevamo che la cosa non ci riguardasse. Perché avremmo dovuto pensare che in fondo siamo tutti potenziali disabili, futuri vecchi bisognosi di assistenza, o genitori di probabili disoccupati, o di figli brutalizzati dalla violenza di qualche pazzo intollerante?
La nostra mancanza di vita vissuta c’impediva di comprendere tutto ciò. E poi, ammettiamolo, non erano argomenti che sentivamo nostri.
Ma quando questi politicanti sono arrivati a toccare la parte concreta della vita, ossia il nostro denaro, ecco a quel punto lì non abbiamo tentennato neanche un istante.
Noi davanti ai nostri soldini diventiamo subito seri e c’incazziamo. Di brutto.
E si vede, lo stiamo dimostrando al mondo intero. Una mobilitazione dopo l’altra e quando il popolo s’incazza, si sa, fa paura. E tremano i nostri politicanti, uhhh come tremano…!
Ed è per questo che sono felice del nostro risveglio. Finalmente abbiamo compreso che qualcosa in questo sistema non funziona e siamo pronti a difendere i nostri diritti, pardon, i nostri portafogli.
D’altronde siamo un popolo giovane e come tale concentrati solo su noi stessi.
La maturità di comprendere che una nazione indifferente al bene pubblico è una nazione debole ed esposta è consapevolezza che verrà poi, fra qualche centinaio di anni.  Dobbiamo ancora maturare e provare sulla nostra pelle che il disinteresse è pericoloso ed incivile. Popoli più scaltri e saggi hanno appurato da decenni che il rispetto civico del diritto del singolo e l’unica strada per la tutela di un intero popolo.
Ma noi siamo giovani e un po’ scapigliati e questo, non è mica una colpa.
O no?

venerdì 2 settembre 2011

Un pensiero logico, è sempre ovvio?






La vita è fatta d’incontri, d’incontri non necessariamente umani.
Si può incontrare un luogo, una pianta, un sasso, un animale.
Si può incontrare qualcosa di astratto come un’idea, un desiderio, un sogno.
Non importa cosa s’incontra, la cosa fondamentale è come ci comporteremo noi rispetto a quell’incontro.
Se lo vedremo. Se saremmo disposti a fermarci per comprenderlo. Se lo sapremo valutare. Apprezzare. Oppure se con noncuranza, superficialità od indifferenza passeremo oltre o lo butteremo via.
La vita che a volte è assai benevola, potrà offrirci più occasioni; d’altronde conosce assai bene la miopia degli uomini.
Però potrebbe anche offendersi per la superbia o la distrazione che gli dimostriamo e quindi riprendersi il suo dono per offrirlo a chi, meglio di noi, sarà capace d’apprezzarlo.

Ventiquattro ore! Solo ventiquattro ore e lei aveva avuto la possibilità di comprendere concetti importantissimi, vitali.
Lei amava, adorava ritrovarsi dentro a quelle porzioni di tempo.
Aveva la sensazione che tutto si contraesse come in uno sforzo finale, come nell’ultima spinta che permette ad una madre di far nascere il proprio figlio, o all’inventore di trovare l’ultimo passaggio per rendere funzionate la propria invenzione.
Così accadeva per i pensieri, per i suoi pensieri.
Se ne stavano nella sua mente più con l’aspetto di domande in via di definizione che di concetti conclusi.
Camminavano, si accovacciavano, a volte improvvisamente iniziavano ad agitarsi fino ad arrivare ad urlare scalmanati. E poi, improvvisamente, quasi senza una motivazione precisa, la vita la portava ad incontrare qualcuno, o qualcosa, od un concetto astratto e tutte quelle domande si mettevano in fila e davanti a quell’incontro si trasformavano in pensieri limpidi e tutto diveniva sorprendentemente chiaro, ovvio.
Così era accaduto quel giorno, quando per noia era entrata in un luogo e imprevedibilmente aveva incontrato un concetto astratto ed aveva deciso di fermarsi a dialogare con lui.
La mente in preda ad un raptus di collegamenti si era messa a lavorare velocissima e le risposte erano arrivate una dietro l’altra, in un susseguirsi di scoperte e logicità che l’aveva lasciata incredula e felice.
Come diamine aveva potuto non comprendere prima?
Quelle intuizioni, che avevano tanto le sembianze di vere e proprie risposte gentilmente offerte da quegli insoliti incontri, rivoluzionavano la sua vita ed il proseguimento del suo cammino.
Improvvisamente sapeva perché una tal cosa, una cosa importantissima per lei, sarebbe accaduta e perché avrebbe funzionato. In quel luogo, parlando con quel concetto, aveva incontrato qualcosa di se che fino a quel preciso istante aveva ostinatamente ignorato. Ma gli incontri sono fatti per questo, per svelarci ciò che da soli non saremmo in gradi di capire. Ed il tempo, oh quel galantuomo del tempo, lui svela ciò che gli esseri umani hanno stupidamente cercato di nascondere.
Ed affinché non le sorgessero i soliti dubbi disturbatori, la vita la condusse davanti ad un ulteriore incontro che, con parole chiare ed inequivocabili, le confermò tutto.
Aveva impiegato tutta la sua vita fin lì per arrivare a quelle parole ed era da tutta la sua vita fin lì che lei le cercava.
Finalmente lei e quelle parole si erano incontrate.
Tirò un sospiro di sollievo