Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

martedì 30 ottobre 2007

Guarda chi c'è...!

Si pittura casa.

E’ deciso.

Voglia di nuovi colori, di atmosfere diverse, in fondo è un po’ come dipingere sui muri le tonalità che mi appartengono ora, cancellando, sotto le pennellate di glicine e verde, il delicato ma un po’ impersonale colore che forse mi rappresentava qualche secolo fa.
Si recuperano cartoni, si incartano oggetti, si spolverano libri, le lampade vengono tirate giù e sembrano finalmente potersi distendere e riposare e, via via che le cose ci passano tra le mani si rivivono emozioni e recuperano ricordi.
Ripulire una casa è come riassaporare il proprio passato e decidere quello che ha ancora posto nella nostra vita.
E capitano cose strane, divertenti; da angoli irraggiungibili o fessure misteriose riemergono frammenti dimenticati che con sorpresa raccogliamo, meravigliandoci di averli ritrovati, stupiti di averli potuti scordare.
“Ecco dove era finito!” Ci diciamo con sorpresa, portando l’oggetto di turno in pellegrinaggio da una stanza all’altra, mostrandolo eccitati agli altri abitanti della casa.
Poi tra una ciotolina insignificante ed una cartolina sbiadita riemerge lui, un quaderno dalla copertina improbabile che ti chiedi come hai fatto a scegliere, e questo già è lì a dimostrarti qualcosa, e tu lo apri curiosa , cercando di datarlo ad una dimensione infantile che ti fa già teneramente sorridere.

La tua scrittura è adulta, nervosa, gettata velocemente tra i fogli leggermente ingialliti.

Non puoi aspettare, devi leggere e ti fermi, con il panno per spolverare che aspetta paziente sul pavimento e gli altri intorno a te che continuano a parlarti non sapendo ancora che, tu, hai appena rincontrato una te di cui avevi perso le sfumature.
Gli occhi corrono ed ogni parola letta ti fa riappropriare di vissuti lontani, dimenticati nella loro intensità d’allora. E continui a leggere ed inizi a comprendere veramente quanto tempo è passato, quanto cammino è stato fatto senza che tu ne fossi realmente consapevole.
E benedici la voglia di un’altra età, quello stato d’animo che tanti anni prima ti ha spinto con urgenza a spostare, da te a quel foglio, un sentimento che interiormente non eri più capace di contenere.

Virginia Woolf diceva che è importante scrivere ogni giorno, lasciando tracce dei propri pensieri neill’intimità di un diario, nelle lettere agli amici; lei lo faceva continuamente ed aveva ragione.

Anche io ho lasciato le miei tracce e casualmente a volte le ritrovo e mi ritrovo. Sono frammenti di me che sorvolano i miei anni con una costanza d’intenti non sempre diligente eppure preziosa.
Io sono sempre io, i sentimenti che muovono il mio vivere non sono mutati ed è bello poterli prendere tra le mie mani adulte rimirandone la purezza, conscia oggi, di saperli, dopo tanta strada, accogliere e difendere come una madre amorosa e fiera.
Ora so asciugare quelle lacrime e sorridere della mia ingenuità, senza dolore, senza rammarico perché la strada fatta è proprio sotto i miei occhi, fra quelle righe e mi dice che non sono più quella d’allora ma fortunatamente sono anche quella d’allora.

lunedì 29 ottobre 2007

Vane speranze

La più grande forma d’adulazione a cui si può ambire è vedere rispettata la propria intelligenza.

Questo è ciò che penso e che cerco di non dimenticare mai.

Tuttavia, è altrettanto vero che gli esseri umani sono portati per loro natura a voler essere compiaciuti ed assecondati , anche se ciò indica e comporta una mancanza di verità nei loro confronti, un venir meno ad un reale e proficuo confronto, nel rispetto appunto, dei reciproci intelletti. Se poi l’interlocutore è un personaggio potente, famoso o comunque in grado di decidere aspetti significativi del nostro vivere, le modalità di relazione aprono il campo a baratri sconfortanti.
Di che cosa parlano allora, effettivamente, i due o più interlocutori quando scattano dinamiche di potere e dipendenza? Non si sa.

In questi casi, infatti, si svolgono a volte tra le persone dialoghi paradossali, inutili, privi di senso e quindi ironicamente irreali che divengono da una parte un monologo e dall’altra un’ossequiosa accondiscendenza. Insomma una tristezza infinita a cui è veramente demoralizzante assistere.

E questo è un bel problema se geneticamente si è incapaci o non si ritiene giusto prendere in giro chi si ha di fronte. Eppure…eppure, questa onestà d’intenti non vive momenti di scontata gloria, anzi, spesso viene denigrata, schiaffeggiata, elusa come se il dire con sincerità il proprio pensiero fosse un affronto od un danneggiamento e non, al contrario, una serio e sano modo di porsi nei riguardi del prossimo nostro.
No, non scherziamo, gli esseri umani,per una strana ed incomprensibile forma di autolesionismo amano, di più, agognano essere presi in giro, anche se non l’ammetteranno mai.
Il perché sfugge alla mia comprensione, eppure tant’è, questo è quello che vedo accadere frequentemente intorno a me e la cosa a preso ad annoiarmi infinitamente, e quindi la rifuggo, ovvero fuggo con tecniche varie da tutti coloro che applicano tale sistema sia nel pretenderlo che nell’assecondarlo. Qualora poi mi sia impossibile sottrarmi, taccio e continuo a pensare ai fatti miei.

Grande conquista il silenzio. Davanzale privilegiato da cui guardare e scoprire il mondo che ci gira intorno e di cui io approfitto appena posso.

Che divertimento notare come, nell’incapacità od impossibilità di esprimere la propria opinione pubblicamente, la gente tenda a distrarsi, addormentandosi, per poi risvegliarsi nel privato, affermando con aria saccente tutto quello che comunque non si ha avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente.
La cosa imbarazzante è poi che tutti usciranno da questi momenti con la propria dignità calpestata senza esserne veramente consapevoli, convinti come saranno di aver dato ed ottenuto quello che gioverà loro, la dove invece nessuno avrà affermato veramente il proprio pensiero e nessuno quindi avrà raggiunto una reale conquista.

La storia ha raccontato mille volte questa verità, ma gli esseri umani non riescono ad imparare. Ci sono stati re, regine, imperatori, comandanti che circondati da una corte di ambiziosi lecchini hanno spesso estromesso dal circolo dei propri consiglieri coloro che con onestà e coraggio osavano andare contro le loro idee, suggerendo azioni sagge. E mica sono stati premiati, no, sono stati esiliati, sostituiti, uccisi ecc. ecc.
E pur essendoci indigniati per l'incongruenza e l'ingiustizia di questi comportamenti, noi moderni continuiamo a ripetere gli stessi gesti, applicando provvedimenti diversi ma comunque simili nella sostanza.

Ma come è possibile , mi chiedo, preferire alla pur scomoda e a volte meno facile verità, una falsa e quindi totalmente inutile adulazione o accondiscendenza ? E quale può essere la gratificazione che ne consegue visto che spesso i risultati sono scarsi o catastrofici?

Mistero.

Tuttavia lascio a questi personaggi, potenti si ma anche un po’ tristi, un baralume di salvezza, affermando che in cuor loro conoscono perfettamente il diverso valore dei loro interlocutori, ma è la loro insicurezza ad impedirgli di seguire strade o pensieri coraggiosi.
Insomma poveracci, in fondo in fondo non è colpa loro, è che gli manca la materia prima, qull’intelligenza, forse , di cui io spero sempre, con estrema fiducia, tutti siano almeno parzialmente forniti.
E questa possibilità, devo ammetterlo mi porta a scusarli.

giovedì 25 ottobre 2007

Le conversazioni

" E' davvero mostruoso che la gente vada in giro dicendo alle nostre spalle cose che sono assolutamente vere."

Oscar Wilde
(Il razzo illustre)

Io, Seneca e l'amicizia

“Un amico deve essere posseduto nell’animo: qui egli non è mai assente, qui è possibile vedere ogni giorno qualunque persona tu voglia.”

Seneca è un maestro ma è anche un mio amico o perlomeno io lo considero tale. Le sue parole infatti, accompagnano i miei giorni da tanti anni e la sua filosofia, i suoi insegnamenti sono il riferimento ed il conforto certo a cui mi rivolgo quando ne sento il bisogno.
E’ vero, lui non lo sa, ma mi piace credere che la stima e l’affetto che provo nei suoi confronti siano sentimenti che non possano comunque dispiacergli.
Ovviamente avrei desiderato conoscerlo, ricevere direttamente dalla sua voce i precetti che invece ho dovuto trarre dai suoi scritti e per questo invidio enormemente Lucillo, che con lui ha potuto intrattenere addirittura un epistolario. Ma non mi lamento, nei suoi libri che tengo accanto a me sul comodino, c’è molto del suo pensiero ed io so accontentarmi. Il nostro, in fondo, è un rapporto perfetto; io apro un suo libro, scelgo una pagina a caso e lui generosamente mi offre la sua opinione illuminata. Ne sono certa, io e lui non litigheremo mai anche se non sempre le nostre idee coincidono. Ma questo rende il nostro legame vivo e vegeto più di molti altri che, sbadigliando, a volte mi trascino dietro.
Oggi per esempio, mi sono tornate in mente le sue parole ( quelle riportate all’inizio del post) dopo aver conversato telefonicamente con un mio amico d’infanzia. Erano tanti anni che non avevamo modo di discorrere così eppure, il nostro affetto reciproco l’abbiamo ritrovato intatto, radicato in negli anni più spensierati delle nostre vite.
E mentre ascoltavo le sue parole che, inaspettate, mi spiegavano quanto la mia amicizia fosse contata nella sua vita senza che io ne fossi consapevole, senza che in tutti questi anni, di non frequentazione, avessi mai sospettato che il mio modo di essere d’allora, avesse avuto su di lui effetti tanto importanti e duraturi nella suo divenire uomo, io, non ho potuto che pensare alle frasi del mio amico filosofo e stupirmi, ancora una volta della sua lungimiranza.
Ho chiuso quindi la comunicazione e sono rimasta così, con il telefono tra le mani, emozionata per la conferma di un affetto ancora presente, ed ho pensato, che è vero, proprio vero che un amico lo possiedi nell’animo ed è con te a prescindere dalla vicinanza fisica. Gli amici o le persone che hanno od hanno avuto un’importanza nella nostra vita non le perdiamo mai, sono dentro di noi, sempre, e in noi possiamo incontrarle quando vogliamo, riascoltando le loro parole, rivedendo i loro volti. Ed è così anche per tutti gli incontri e le conoscenze che avvengono tra le righe dei libri. Quante volte una frase letta è tornata alla mia memoria e mi ha confortato od aiutato in un momento particolare della mia vita? Non saprei contarle. Nella potenza della scrittura è racchiusa, infatti, la possibilità di portare lontano, oltre lo spazio del tempo coloro che altrimenti non avremmo potuto conoscere. Le loro parole, l’esperienza delle loro vite è lì, a nostra disposizione e crea dei legami, quasi degli affetti, che non necessitano come le vere amicizie di una quotidianità.
Soltanto i rapporti inconsistenti muoiono nella non frequentazione, tutti gli altri vivono nel pulsare del nostro cuore.

Dedicato a tutti i miei amici di carta, inchiostro e calamaio, a Mauro, amico appena ritrovato, e a Silvia e Davide che seppur lontani so sempre vicini.

lunedì 22 ottobre 2007

La presentazione

Ci siamo!
Non mi sembra vero, ma accadrà.
Il 30 novembre 2007 verrà presentato ufficialmente il mio libro: “ Mio padre mi chiamava Luna” . Stupendomi, il mio romanzo ha fatto la sua strada e quel giorno arriverà a trovare il suo posto tra gli scaffali ed i ripiani delle librerie di tutta Italia.
Da quel momento in poi, avrò il non comune onore di veder affiancato il mio nome a quello di tanti altri autori e magari di grandi scrittori. E come potrei, a questo punto, non provare un meraviglioso senso di vertigine?
E’ stranissimo, infatti, fantasticare per decenni su una possibilità che sembra soltanto un’aspirazione ambiziosa, una speranza remota, e ritrovarsi invece, quasi improvvisamente, al centro di un miraggio che diviene realtà.
Eppure è esattamente quello che sto vivendo.
Volendo giocare alla scrittrice consumata, potrei assumere un tono disinvolto e raccontare a tutti voi che sto assaporando questo momento con una certa naturalezza ma non è così, anzi, lo stato di sorpresa perenne che sto provando è un privilegio emotivo a cui non intendo rinunciare, e che penso sia carino condividere con chi mi legge.
In fondo, a rifletterci bene, tutta questa storia è una piccola favola, ed oggi è lunedì e credo che tutti voi abbiate bisogno di un piccolo incoraggiamento o di un momento di magia, e poi ditemi, come si fa a non raccontare la favola di cui si è protagonisti?

Tanti anni fa…
c’era una bimbetta, avrà avuto sei, forse sette anni ed ancora non sapeva scrivere bene. Tuttavia già premeva dentro di lei la voglia di guardare il mondo e raccontarne l’emozioni.
Nella potenza creativa e senza limiti di quell’età, non si preoccupava assolutamente di quanto in realtà possedesse un effettivo talento di scrittrice. Quello le sembrava un dato scontato e del quale, tra l’altro, non dubitava mai.
Aveva scelto il suo futuro e questo le bastava. Sarebbe stata una giornalista in giro per il mondo, avrebbe visitato paesi e conosciuto popoli, avrebbe osservato la natura e scritto le sue impressioni su un giornale fondato da lei. Questo sarebbe stato il suo futuro, la sua passione, e lei non aveva alcun dubbio che le cose sarebbero andate esattamente come le stava ipotizzando.
Trascorsero gli anni e la bimbetta diventò donna ma nulla mutò; quello rimaneva il suo progetto ed il non averlo realizzato, per motivi contingenti, il più grande rimpianto della sua vita.
Ma quel pensiero era sempre la, e lei ci tornava spesso, ogni qualvolta poteva. Era la sua casa, il rifugio in cui poteva continuare a sperare ed era un bel posto; qualcuno infatti, lo teneva sempre in ordine, caldo e pieno di luce e lei si sentiva bene lì dentro, a suo agio, anche se non sapeva chi fosse a mantenerlo così accogliente.
Un giorno però, mentre si trovava nella bella casa dei suoi sogni, arrivò una bimbetta piuttosto arrabbiata, la quale le disse che era stata lei in tutti quegli anni a curare la bellezza di quel luogo, ma ora, dopo tanti anni, era stanca e stufa, disse proprio così, e voleva che anche lei facesse la sua parte.
La donna era sorpresa ed incredula ma la bimbetta le disse, con tono deciso, che era arrivato il momento di esaudire il suo sogno, doveva ripagarla della pazienza e del lavoro silenzioso di tutti quegli anni.
Ogni parola della bambina conteneva una parte di verità e lei comprendeva la sua rabbia; improvvisamente però era in seria difficoltà, lei, una donna adulta.
Eppure, non sapeva come giustificare il tradimento di un progetto che in fondo aveva sempre condiviso, inoltre la bimbetta non smetteva di guardarla con occhi delusi e lei si sentiva morire dalla vergogna; aveva tradito le sue aspettative, la fiducia di cui l’aveva ritenuta degna, ed era assai difficile, a quel punto, riuscire a sostenere il suo sguardo.
Come fanno a volte gli adulti cercò quindi di tergiversare, propinando scuse e adducendo giustificazioni nella speranza meschina di placare la sua ira e distoglierla vigliaccamente dal suo intento ma, era tutto inutile.
La bimbetta reclamava il suo sogno, e caparbia come solo i bambini sanno essere, si mise al suo fianco e incrociando le braccine con aria di sfida, iniziò a presidiare la sua vita fino a quando lei non si arrese, promettendole che avrebbe finalmente provato a realizzare quel benedetto sogno.
La donna allora si mise seduta e cominciò a scrivere.
Scriveva e cancellava e poi riscriveva e la cosa inizialmente le sembrò difficile ed estremamente faticosa ma la bimbetta era sempre lì, accanto a lei, e le sorrideva fiduciosa, allora lei non poteva riabbassava nuovamente la testa e riprendeva a scrivere. Ci volle più di un anno e ci furono momenti in cui aveva l’impressione che tutto quello che la circondava, mosso da gnomi dispettosi e burloni, cercasse di ostacolarla, di mettere alla prova la sua volontà. Ma più scriveva e più questo gesto e gli automatismi di cui necessita, divenivano qualcosa di fluido, di molto naturale.
Fino a quando arrivò il giorno, anzi la sera in cui scrisse una frase e si rese conto che il libro, il suo libro era finito; sorpresa, era enormemente sorpresa di esserci riuscita. Le sembrava, infatti, di aver oltrepassato un traguardo ritenuto fino ad allora irraggiungibile.
Aveva saldato il suo debito ed esaudito un desiderio; si sentiva bene, a posto con la propria coscienza. Ma qualcun'altro, senza che lei se ne accorgesse, aveva osservato il suo lavoro ed apprezzato il suo impegno e, intenerito soprattutto dai buoni propositi da cui era stata mossa, aveva deciso di premiarla.
Da quel momento in poi infatti, tutto quello che si strotolava davanti a lei l'anticipava sempre, di almeno un passo rispetto a quello che iniziava a sperare possibile. Il libro piaceva e lei era stupita anche se immensamente felice.
Così , quasi travolta dagli eventi, è arrivata fino alle grandi emozioni di quest'ultimo mese: l’incontro con l’editore, la conferma ribadita da lui sulla validità dell’opera, la pubblicazione e tutto quello che ne verrà.
Ecco, questa è la storia del mio primo libro, sapete anche quanto la determinazione di quella bambina sia stata decisiva per la realizzazione di un progetto che la razionalità adulta mi aveva fatto accantonare.
Senza di lei non ce l’avrei fatta. Ho usato tutta la sua energia, tutto il suo entusiasmo, il monito dei suoi occhi ogni qual volta il mio coraggio tentennava e sono riuscita a consegnarle il sogno che attendeva da molti, forse veramente troppi anni.
Ne sono felice. Si meritava questa gioia e sono contenta che la maturità degli anni spesi nell’attesa, hanno saputo produrre l’essenza di molte nostre emozioni. Ma soprattutto trovo giusto ed ancora una volta un po’ magico che per uno strano succedersi di eventi, lontani e vicini, sarà proprio lei, a comparire sulla copertina del mio libro. Già, proprio lei, con i suoi ciucci, ed il vestitino anni settanta.
E poi ditemi se le cose accadono veramente per caso?

martedì 16 ottobre 2007

I benefici della scrittura

"Affido alla scrittura precetti salutari come utili ricette terapeutiche, avendone sperimentati gli effetti sulle mie ferite, e queste, se non sono perfettamente rimarginate, hanno però cessato di estendersi."


Seneca
Tratto da " Lettere morali a Lucillo

domenica 14 ottobre 2007

L'ebbrezza della vita

Un altro telegiornale ed ancora un nuovo laconico ed estenuante racconto di morti per guida in stato d’ebbrezza. Intollerabile.
Intollerabile è soprattutto dover assistere così frequentemente al dolore che queste vite, in frantumi come le auto su cui viaggiavano, lasciano dietro di se. Il rammarico, infatti, non avvolge unicamente la consapevolezza di esistenze e potenzialità umane bruciate tra lamiere, fumi dell’alcol e l’inganno delle droghe, no, il rammarico e l’insofferenza sono forse ancora superiori per l’idiozia con cui i morti straziano e deturpano per sempre le vite di coloro che sono sopravvissuti o che erano a casa ad aspettare.
Se questi imbecilli, imbevuti ed intontiti di sostanze, morissero e non lasciassero dietro di se lacrime e sangue, io quasi me ne fregherei di loro e della loro morte. Sei stupido? Sei inconsapevole? Ti senti un super eroe con il dono dell’immortalità? Bene se muori sono cazzi tuoi, peggio per te, te la sei cercata e ben ti sta!
Altro discorso riguarda invece i poveri cristi che vengono travolti ed uccisi dalla scempiaggine di chi non è in grado di capire che guidare una macchina è come avere tra le mani un’arma.
Chi è vittima di questi idioti ha tutta la mia vicinanza emotiva e solidarietà umana. Non gli cambierà il corso delle cose ma vorrei che il distinguo sia chiaro.
Quindi , nella rabbia di sapermi impotente ho pensato che, forse, il blog potesse essere un buono strumento per alzare un urlo forte, fortissimo contro questi coglioni che giornalmente ammazzano i nostri genitori, i nostri figli od anche soltanto i nostri amici. Ho bisogno di alzarlo questo grido anche e soprattutto perché sento di non potere più tacere dopo avere ascoltato, durante la trasmissione “ Invasioni barbariche”, il famoso ed assai triste popolo della notte con le sue mode insulse e l’assurdità delle motivazioni che lo spingono a questi indegni comportamenti.
A questi idioti, fighettini, convinti di essere dei gran vivère soltanto perché dopo il lavoro stanno lì a tracannare ettolitri di alcol e a dire o pensare immonde amenità, io ho una proposta da fare.
Signori miei, avete voglia di una vita pericolosa? Volete provare il brivido del rischio o più semplicemente non avete assolutamente idea di quanto sia imbecille la vostra vita in confronto a quella che potrebbe essere se decideste di essere meno stronzi? Bene allora fate così: prendete la vostra personcina in cerca di forti emozioni, portatela in una zona dove la guerra è finita da poco (il mondo, se non ve ne siete resi conto, ne è pieno) e stabilitevi per un po’ lì,, ad aiutare gli abitanti del posto a sminarla. Salverete vite umane invece di ucciderle con la vostra insulsaggine e, contemporaneamente, vi assicuro proverete dei bei brividi.
Se questa non vi piace non vi scoraggiate il nostro sconsiderato mondo è un luogo colmo di posti pieni di pericoli e sofferenze dove il soddisfacimento della vostra voglia di sballo è più che garantito, basta informarsi un po’ nell’attimo della sublime dela vostra pur limitata lucidità tra una birra ed un super alcolico. Ma fate in fretta perché io non vi sopporto più e non sopporto neanche più i pianti e le facce straziate dei vostri cari che resteranno qui tra noi a rimpiangere chi alla vita non aveva dato evidentemente il giusto valore.
A conclusione di questo mio sfogo vorrei riportare le parole di un grande scrittore, uomo di grande intelligenza e di certo segnato da una vita assai poco perbenista. Quello che segue è un frammento di dialogo tra il protagonista ed un suo conoscente, Ménalque.
Tratto dall’Immoralista di André Gide:

Ménalque: “ Se lei fosse venuto a pranzo, le avrei offerto dello Chiraz, il vino creato da Hafiz, ma ormai è troppo tardi, bisogna essere digiuni per berlo; posso offrirle dei liquori?”
Accettai pensando che anch’egli ne avrebbe presi; poi vedendo che era stato portato un solo bicchiere mi stupii:
“ Mi scusi” disse “ ma non bevo quasi mai”.
“ Teme forse di ubriacarsi?”
“ Oh no” , mi rispose, “ al contrario! Considero la sobrietà un’ebbrezza molto maggiore, perché in essa mantengo la lucidità”.
“ Però offre da bere agli altri”.
Sorrise ed aggiunse.
“ Non posso pretendere che tutti abbiano le miei virtù. È già molto se trovo in essi i miei vizi”.
“ Fumerà almeno?”
“ Nemmeno. È un’ebbrezza impersonale, negativa e troppo facile d’avere; cerco nell’ebbrezza un’esaltazione, non un’attenuazione della vita”.

mercoledì 10 ottobre 2007

Amore Oceano

Nel mio viaggiare per il mondo ho avuto la fortuna di conoscere molti mari; ho visto spiagge ed acque nei punti più diversi del mondo e soprattutto ho incontrato loro, i tre Oceani.
Uno di essi, l’Oceano Atlantico, è stato la mia prima conoscenza ma questo non volge a suo favore, è quello che amo meno di tutti. Sarà forse colpa di un bagno antico, in terra di Marocco, dove una serie di cavalloni in rapida successione mi hanno fatto temere per la mia vita, sarà perché è un mare freddo e sempre agitato, sarà perché il suo temperamento sembra duro ed un po’ violento, ma io non provo per lui piacevoli sentimenti. Lo guardo, ne ammiro la potenza ma non lo amo.

Ben altri sentimenti mi legano invece agli altri due.
Ho incontrato l’Oceano Pacifico soltanto un anno fa ma conoscerlo è stata un’emozione fortissima. Un colpo secco ha trafitto istantaneamente il mio cuore ed io mi sono perdutamente innamorata di lui, irrimediabilmente innamorata.





Le sue acque sono forti e vigorose ma ha saputo avvolgermi senza impaurirmi. Sembra, infatti, saper controllare le proprie onde come fossero lunghe braccia le quali, maliziose, t’inseguono fino ad abbracciarti per poi ritrarsi divertite e sbrilluccicanti sotto i raggi del sole. Ma è anche spavaldo e sa importi la sua forza e questa prova di virilità decisa, devo confessarlo, mi ha fatto girare la testa.
Colta quindi da questo amore sconsiderato l’ho osservato a lungo, ferma, sulla riva di spiagge bianche ed immense ho lasciato che mi parlasse.
Come sempre si dice in questi casi, forse in quel particolare momento della mia vita ero predisposta ad innamorarmi, o forse l’atmosfera del paese che stavo visitando, con la sua follia e i suoi sconfinati spazi aveva accentuato il mio sentire ma lui, l’Oceano Pacifico, mi ha fatto capire cosa voglia dire libertà, e ciò che ti rende libero non puoi non amarlo. Ed io lo amo da allora, e da allora ogni qualvolta qualcosa, qualunque cosa mi rimanda ad un senso di costrizione io penso a lui, alla sua immensità, alla potenza rigeneratrice che si espande ad ogni infrangersi delle sue onde e mi sento felice.
La lontananza, come avrete capito, non ha minimamente mitigato il mio sentimento, lui mi manca terribilmente e non vi nascondo che sono ferocemente gelosa di tutti coloro che, fortunati, posso quotidianamente godere della sua bellezza.
Ma cosa posso fare? Siamo lontani e divisi da un altro oceano e da un continente intero, quindi qualche distrazione è inevitabilmente concessa ad entrambi. Tuttavia il nostro amore, proprio perché difficile, è ancora più intenso, inoltre lo so, lui è un maschio vero ed io una donna che sa aspettare, quindi, non ho dubbi, prima o poi noi due ci rincontreremo.



Devo però confessare che quando questa estate ho rivisto l’Oceano Indiano il suo fascino mi ha turbato senza farmi sentire, tra l’altro, in colpa; in fondo lui è stato il mio primo amore.

La prima volta che c’incontrammo io ero molto giovane e di lui apprezzai, come succede ai superficiali, gli aspetti per lo più estetici. Era bello, caldo e limpido come gli occhi con cui lo guardavo ed era impossibile non invaghirsi di lui. Ma fu più una cotta che un vero amore.
Da allora sono passati molti anni e quando quest’anno ci siamo rivisti la maturità raggiunta mi ha permesso di scoprire in lui aspetti che all’epoca mi erano completamente sfuggiti.
Nell’itinerario del mio viaggio in Africa sapevo perfettamente in quale giorno ci saremmo incontrati ma il conoscere il momento non mi ha salvato dall’emozione che poi ho vissuto.
In una tappa del nostro giro, l’albergo in cui abbiamo fatto base si trovava proprio di fronte a lui ma non mi bastava guardarlo dalla finestra, avevo voglia di un nuovo, vero incontro, volevo arrivargli così vicino d’annusarlo e l’ho raggiunto.
Dall’alto di un’ampia collina sabbiosa ci siamo rivisti. Io completamente ammaliata ho trattenuto il respiro mentre lui in un solo inchino gentile mi scombussolava il cuore; era così languidamente sensuale.




Il sole stava tramontando ed adagiava raggi complici sui riccioli della sua schiuma, sfumandole in tutte le gradazioni del rosa e dell’arancio. Le sue onde quasi argentate scivolavano languide sull’ampia battigia ed il rumore del loro infrangersi musicava alle mie orecchie un sussurro leggero.
L’ammiravo estasiata, era l’immagine perfetta di un dolce principe orientale. Tutto in lui era elegante, pacato e saggio. E’ lo specchio azzurro delle sue genti, e le sue genti riflettono la sua dolcezza.
Ho trascorso soltanto alcune notti in quel luogo fantastico ma ogni pomeriggio, tornata dalle mie escursioni, mi precipitavo da lui. Dall’alto, il mio Marajà mi abbracciava ed io completamente rapita scendevo veloce le ripide scalette per avvicinarmi a lui, il più possibile. Poi inspirando il suo odore, chiudevo gli occhi cercando di prendere il suo ritmo, rallentando i battiti del mio cuore mi facevo silenziosa per poter ascoltare la musica che ancora una volta aveva scelto per me.


martedì 9 ottobre 2007

Fondamentali sfumature.

"Sapersi liberare non è niente; il difficile è sapere essere liberi."

André Gide

venerdì 5 ottobre 2007

Il sogno


Sono ufficialmente una scrittrice e questo è un aspetto nuovo della mia vita.
Il sogno che ha accompagnato la mia vita ha trovato la sua realizzazione ed io veleggio in una dimensione di gioia difficilmente descrivibile.
Proprio questa mattina, mentre mi trovavo dal mio editore, mi è capitato tra le mani un libro di aforismi appena pubblicato da “un autore attempato”, come lui stesso si definisce, che riportava tra le molte anche questa frase: “ La bellezza della felicità è proporzionale alla sua lunga attesa.”
Calcolando quindi che sono circa trentacinque anni che aspettavo questo momento, potete ben intuire quali sentimenti mi avvolgano.
Al momento non so ovviamente cosa succederà e quanto questo mio primo libro sarà capace di venderà una volta immesso nel circuito della grande distribuzione ma oggi, dopo aver compiuto un giro immenso ed assai faticoso nei diversi mari della mia vita, sono a tutti gli effetti una scrittrice, anzi “l’autrice di un’opera” come usano dire tra gli addetti ai lavori e questo riconoscimento sposta nettamente la mia scrittura da una dimensione personale, ad una oggettiva ed ufficiale collocazione editoriale che mi fa girare la testa.
Sono la testimonianza di come i sogni vadano inseguiti e di come quello che, per pregiudizievoli limiti mentali non ci eravamo permessi di sperare, possa realizzarsi. Esistono però due condizioni indispensabili perché l’incredibile possa accadere: una testarda, inamovibile fiducia in se stessi ed il coraggio di osare. Senza questi due aspetti se accade “qualcosa” ci si può ritenere dei miracolati od in modo più terreno dei raccomandati.
La realizzazione di un sogno ti concede uno sguardo molto più benevolo con cui guardarti, ti fa acquisire ulteriore fiducia e ti conferma che il tuo sentire era l’unica cosa a cui dovevi dar retta ed a cui hai fatto bene a dar retta. Ma arrivare a questo non è facile, difficilmente infatti nelle famiglie, nelle scuole, in ambito lavorativo o sociale incontri qualcuno “illuminato” che ti guarda dritto negli occhi e ti chiede: “ Cosa ti rende felice? Ok, allora vai e fai di tutto perché questo accada; puoi farcela!” E questo è uno dei grandi, enormi limite della nostra società.
Il contesto vuole che si voli basso, che si miri ai piccoli, ma certi, risultati che assicurano la sopravvivenza e non, l’almeno parziale, realizzazione di un essere umano. E’delittuoso e ne siamo tutti responsabili. I sognatori infatti, coloro che forse fanciullescamente continuano a credere nella realizzazione dell’impossibile, generalmente non sono compresi. Bisogna concretizzare, capitalizzare il nostro vivere in ambiti universalmente riconosciuti, tutto il resto sembra, agli occhi dei più, una semplice ed infantile chimera. Ma non fatevi ingannare il senso della realtà o maturità che molto spesso viene usato con aria saputa è soltanto la trincea dietro alla quale i poco coraggiosi si sono andati a nascondere e dal quale, gli stessi, non hanno nessuna voglia di vedere uscire vivi voi. In fondo chi vuole vedersi sbattere sul muso i propri limiti?
E sarà per questo motivo che tante persone sono perennemente arrabbiate, insoddisfatte ed acide o sconsolatamente sfiduciate, forse proprio perché sotto la pressione sociale hanno dovuto od accettato abbassare la testa, smettendo di volgere il proprio sguardo oltre il consueto ed impedendosi quindi di continuare a sognare. Sarà per lo stesso motivo che lo slancio entusiastico dei loro anni giovanili ha via via rallentato la propria corsa ed ora, ormai privo di nuove energie, ha arrestato inevitabilmente la loro capacità di procedere? Se guardiamo con attenzione intorno a noi potremmo accorgerci che il mondo trabocca di esseri umani privati dei loro sogni e se, è vero che non tutti i nostri voli fantastici potranno realizzarsi, è pur vero che vivere senza continuare a sperare e sognare è come decidere autonomamente di lasciarsi un po’ morire.
Io non oso giudicare nessuno, perché ognuno conosce le proprie difficoltà, il dolore od i limiti che accompagnano la propria vita e so, per esperienza diretta, che capitano momenti nell’esistenza di ognuno di noi in cui è veramente complicato alzare la testa verso il sole e credere che qualcosa di buono possa ancora capitarci. Lo so, l’ho vissuto sulla mia pelle e conosco perfettamente il senso di invincibile frustrazione che questo comporta, ma un bel giorno io mi sono fermata ed ho pensato che il rimpianto sarebbe stato un dolore ulteriore, impossibile da sostenere e che, tra l’altro, non era neanche sensato infliggermi ed ho rialzato il mio sguardo, ho ripreso il mio piccolo sogno ed ho iniziato a correre, a correre a perdifiato, affinché nulla potesse ancora distrarmi od impedirmi di provare. Ed oggi in questo post lancio un grido di richiamo, rivolto a chiunque abbia ancora un pazzo sogno da realizzare perché come dissero a me una volta: “ Provare e fallire e sempre meglio della consapevolezza di non aver mai tentato.”

mercoledì 3 ottobre 2007

Vero, VEro, VERo, VERO!!!!!!

"Un'idea che non sia pericolosa non è degna nemmeno di essere chiamata idea."


Oscar Wilde
( da Il Critico come artista)

lunedì 1 ottobre 2007

Ma non imparo mai?

E la vita mi ha smentito una volta ancora.
Con un sorriso benevolo, dolcemente, ancora una volta mi ha preso per mano e mi ha condotto di fronte alla realtà, la sua, quella insindacabile ed io, come una bambina che assiste ad una magia, sono rimasta strabiliata, ho sgranato gli occhi, mi sono emozionata ed allora l’ho guardata ed a mia volta le ho sorriso, grata.
Ma poi, un po’ mi sono vergognata ed ho abbassato lo sguardo mortificata; ho commesso nuovamente lo stesso errore, il più stupido di tutti, esattamente quello che ogni mattina mi impegno a non ripetere dopo che Lei, la vita, con infinita pazienza mille e mille volte mi ha dimostrato essere questo un abbaglio pericoloso e pregiudicante.
Sollevando di nuovo il viso ho cercato però di spiegarle che per quanto mi impegni e mi sforzi di liberare la mia testa dai falsi convincimenti, dagli erronei pregiudizi, la natura umana a cui appartengo mi condiziona più di quanto io non pensi o non voglia, creando continui limiti all’ampiezza del mio ragionare, del mio riuscire a spaziare oltre i confini che mi sembra di scorgere e che invece non esistono.
Eppure so di aver appreso la lezione, è chiaro in me il concetto che le cose accadono seguendo percorsi imprevedibili e che le mie umanissime convinzioni, le formulette congetturali che cerco di elaborare sono ben poca cosa rispetto a quello che “Lei” può in ogni istante decidere per me.
Lo so, ne sono convinta, ma resta comunque difficile ammettere che la mia conoscenza della realtà sia così limitata
Certo ho fatto dei buoni progressi, l’impegno in tal senso ha prodotto quello che io definisco “ un nuovo modo di percepire il mondo” ma ancora sono lontana dal generare normalmente pensieri liberi da sovrastrutture. Tuttavia le volte in cui riesco a raggiungere questo picco la sensazione è così perfetta e limpida che da lassù, dalla cima, mi sembra assurdo poter tornare indietro ed offuscare di nuovo il mio pensiero.
Ed allora penso, poi guardo la mia amata vita e le chiedo scusa ma poi le spiego che scuso anche me perché forse sarebbe presuntuoso e stupido pensare che a questo punto della storia mi sia tutto chiaro o che io sappia perfettamente come muovermi in mezzo a sto gran casino che è la vita stessa. Io, come tutti, faccio del mio meglio, cerco di essere attenta e pronta ma è complicato e tutti qui nel comune umano cerchiamo di arrabattarci come possiamo, al meglio delle nostre possibilità individuali. E qualche volta intraprendiamo la strada giusta, altre volte ci lasciamo fuorviare da pregiudizi inutili e perdiamo di vista la via, altre volte proprio non sappiamo cosa fare e dove andare ed imbocchiamo una strada, quella che ci sembra d’istinto la migliore, la più sicura e soltanto dopo averla percorsa tutta sapremo se era quella giusta o sbagliata per noi. Ma questo è normale e per quanto si cerchi di essere saggi è impossibile non sbagliare e forse, tutto sommato è giusto così, il rischio rende più intrigante il nostro vivere e noi, così fallaci, molto più simpatici.