Un pò di me e la mia intervista con Maurizio Costanzo e più in giù in nuovi post

venerdì 28 settembre 2007

La vita secondo Woody Allen

La cosa più ingiusta della vita è come finisce.Voglio dire: la vita è dura e impiega la maggior parte del nostro tempo...Cosa ottieni alla fine? La morte.Che significa? Che cos'è la morte? Una specie di bonus per aver vissuto?Credo che il ciclo vitale dovrebbe essere del tutto rovesciato. Bisognerebbe iniziare morendo, così ci si leva il pensiero. Poi, in unospizio dal quale si viene buttati fuori perché troppo giovani.Ti danno una gratifica e quindi cominci a lavorare per quarant'anni, fino ache sarai sufficientemente giovane per goderti la pensione.Seguono feste, alcool, erba e il liceo.Finalmente cominciano le elementari, diventi bambino, giochi e non hairesponsabilità, diventi un neonato, ritorni nel ventre di tua madre,passi ituoi ultimi nove mesi...galleggiando e....finisci il tutto con unbell'orgasmo!

WOODY ALLEN


Io lo trovo geniale.

mercoledì 26 settembre 2007

AIUTO!!!!!!!!!

Invito per una conferenza stampa, argomento interessante, tentenno, vado, non vado. Da quando sono tornata dall’Africa effettivamente tendo un po’ ad isolarmi, troppe sensazioni, troppi pensieri e molta voglia d’intimità; con me stessa. Ma forse è carino andare, e vado.
L’amica che mi ha invitato è in ritardo ma io conosco il contesto, in fondo è per gran parte il mio ambiente lavorativo. Come direbbero i siciliani “m’inoltro” nel percorso che mi porterà in sala.
Primi incontri, scialbe frasi di circostanza e la solita mania di dimostrarsi travolti dagli impegni, come se questo possa essere un vanto, l’evidente conferma di quanto si conti in questo mondo. Subdola mi torna in mente una frase di Lichtenberg: “ La gente che non ha mai tempo fa pochissimo.” Ma perché continuo a leggere i filosofi?
La peluria del mio corpo intanto inizia ad alzarsi.

Entro in sala, è già gremita, il cellulare non prende e dovrò quindi restare all’allerta, in attesa della mia amica. Mi guardo intorno, è una vera passerella, affluisce di tutto: personaggi famosi, noti, meno noti ma quasi tutti con una “corte dei miracoli” che li segue o li anticipa affinché a nessuno sfugga il loro ruolo, l’importanza della posizione raggiunta. E poi intorno a tutti questi personaggi uno sciame di "addetti ai lavori” che industrioso si muove rassegnato e tutto sommato indifferente.
E va bhe, penso, il comportamento dei “tromboni tronfi” (così li chiamo in genere) è sciocco ma tutto sommato ha una sua logica, non condivisibile ma comprensibile. Ma quelli che capisco sempre meno sono loro “la corte dei miracoli” che, non si sa bene perché, scodinzola felice, convinta di aver raggiunto chissà quale quarto di nobiltà soltanto per essere arrivata sotto gli scalini del trono.
Torno ad osservare.

È un continuo ciao ciao, splendidi sorrisi e plateali abbracci ma soprattutto un’ostentata volontà di mostrarsi molto più a proprio agio di quanto in realtà non ci si senta. In verità è un continuo osservarsi, misurarsi, e principalmente valutarsi in base a criteri sconclusionati, erronei, che ben poco hanno a che fare con gli effettivi meriti di ognuno.
E’ evidente che siamo in preda ad una pericolosa forma di follia. Metà delle energie impiegate in questa sala sono disperse in azioni inutili, che non produrranno nulla, che ancora più semplicemente non hanno alcun senso.
Mi dico che forse sto esagerando eppure più mi guardo intorno e più mi viene in mente Pirandello e la sua teoria sulle maschere che indossiamo. Qui ne hanno tutti almeno due o tre ed è così evidente che tutto quel pavoneggiarsi ed agitarsi m’intristisce nella pochezza degl’intenti ma paradossalmente mi rimanda ad un non so che di comico, infatti, con tutto questo sovrapporsi di maschere nessuno, in fondo, sa veramente con chi sta parlando. Il vero “Se” d’ognuno chissà dov’è.
Ma non voglio essere ingiusta, so che purtroppo queste sono le regole del gioco e non è per niente facile svincolarsi. Però quando mi trovo davanti “ Tesoro” il mio auto controllo sbanda e la volontà di trovare una giustificazione anche all’impossibile mi gira decisamente le spalle.
“ Tesoro” è uno dei tanti personaggi che si aggirano nella “ Corte dei miracoli” e con scaltrezza non ricordando i nomi di tutti si rivolge a chiunque chiamandolo “ amore o tesoro”. Con me non fa eccezioni, soltanto che oggi più di ieri non ho nessuna voglia di sentirmi chiamare “Tesoro” e vorrei dirglielo, magari con un sorriso altezzoso ma non ce la faccio, è già via, impegnata in un nuovo abbraccio, in un nuovo “Tesoro!!!”.
L’incontro con “Tesoro” mi divide in due: una parte di me, quella seria ed insofferente all’idiozia mi spinge decisa verso l’uscita, l’altra quella biricchina ed ironica cerca di opporsi suggerendomi di notare le scene da zoom fotografico imperdibili che si svolgono intorno a me ed il mio senso del fermo immagine vince e mi trattiene.

Arriva un Lui, non so chi è ma la signora matura accanto a me si illumina come un filo incandescente per essere stata pubblicamente salutata, e nell’enfasi dell’emozione compie una totale torsione del busto regalando alla platea un sorriso cavallino che ha del terrificante, ma lei non lo sa, pensa soltanto a quanti gradini sia riuscita a salire grazie a quel piccolo gesto di riconoscimento pubblico e le basta così, per i meccanismi che animano questo luogo meglio non poteva andarle. Più avanti un altro miracolato di giovane età riceve, sempre dallo stesso Lui, che intanto continua ad avanzare nella sala, un sguardo di saluto, più che altro un cenno ma tanto basta a farlo impennare all’indietro quasi fosse incapace di sostenere il peso di tanta grazia.
A questo punto non posso che trovarmi d’accordo con lui, il grande Schopenhauer quando sostiene che: “ Fa troppo onore agli uomini chi attribuisce un grande valore alle loro opinioni.” Ma qui funziona così e tutti s’inchinano a quello che la massa crede d’aver deciso, crede essere inopinabile in quanto socialmente condiviso e ben pochi hanno il coraggio di imporre il proprio stile, il proprio modo d’essere perché, ad onor del vero, non è per niente facile.
Tutto sommato infatti, nonostante l’età adulta, anche in noi resistono forme d’adolescenziale insicurezza le quali, messe sotto pressione dalla spietatezza del comune giudizio, ci spingono ad essere quello che non siamo, accettando comportamenti assurdi e poco dignitosi per il nostro Io.
Non è colpa di nessuno ed è colpa di tutti.

Ma io vengo dall’Africa e poi dalla mia gita a cavallo e non è neanche colpa mia se ciò che ho visto e di conseguenza provato ha ampliato ulteriormente il profondo disagio che già provavo nei confronti di regole e modalità che non riconosco valide in quanto oggettivamente stupide, e so che alla fine questo è un bel guaio perché io vivo qui e questo è il mio lavoro ed a me il tutto piacerebbe anche se solo fosse meno falso e più concreto. La vita, quella che intendo vivere è altro e pulsa e mi chiama ed a volte sa farmi male ma non posso più stare lontano da lei, dai rapporti umani veri e quanto più possibile sensati e tutto questo teatrino mi sembra una farsa giullaresca che quando non m’innervosisce mi annoia terribilmente.
Il resto poi, questo gran girare a vuoto, lo sprecare energie preziose per cercare di adeguarsi ad un livellamento mentale privo di saggezza, mi sembra veramente ed unicamente una gran perdita di tempo e lo sapete, perché l’ho scritto in un mio precedente post, cosa penso della “impagabilità del mio tempo”. E’ un bene assoluto ed intendo usarlo per altro.

lunedì 24 settembre 2007

Augurio a me stessa


Cosi come, il giorno che ti ha dato al mondo,
il sole si offriva al saluto dei pianeti,
subito tu crescesti e continuasti a crescere
secondo la legge in base alla quale eri apparso.
Così devi essere, non puoi sfuggire a te stesso,
così dissero già le sibille e i profeti,
e nè tempo nè potere alcuno possono frantumare
una forma impressa, che, vivendo, si sviluppa.
Goethe

domenica 23 settembre 2007

Sono anche io un Grillo Parlante?

Oggi Grillo ha invitato i cittadini italiani a partecipare ai consigli Comunali per rendersi conto di quanto accade a telecamere spente all'interno di questi luoghi.
Io lavoro in questo ambito e sono anni che incito i miei amici, i conoscenti e tutti coloro con i quali mi capita di parlare di politica, a partecipare ai Consigli Regionali, Provinciali e Comunali. E chi mi conosce lo sa.
Peccato che, non essendo famosa, alle mie parole viene dato un peso relativo, ed anche questa è cosa risaputa, ma oggi mi è venuto proprio da ridere nel sentire questa notizia e vezzosamente non sono stata capace di trattenermi ed auto lusingarmi sul Blog.
Grillo ha parlato e qualcuno sicuramente si recherà ad assistere a qualche seduta di Consiglio. Io, ahimè, non sono stata capace di smuovere non dico le masse ma neanche il mio vicino di casa. Ho ascoltato milioni di lamentele sugli argomenti più disparati ma in tutti questi anni nessuno, dico nessuno, di questi cittadini arrabiati ha trovato la voglia od il tempo di seguire il mio suggerimento.
Ognuno tragga le proprie conclusioni.

venerdì 21 settembre 2007

Gita a cavallo


Lo scorso fine settimana sentivo veramente un gran desiderio di natura, voglia di verde, di sole e di una buona passeggiata a cavallo. Io non vado mai a cavallo, l’ultima volta mi è capitato anni fa, una decina per l’esattezza. Questo improvviso desiderio quindi mi è sembrato così stravagante da essere preso subito in gran considerazione.

Consulto familiare, condivisione della proposta e decisione: si parte. Un sano week-end tra le colline umbre in un piccolo agriturismo perso nel nulla. Una magia.

Sabato mattina, dopo una favolosa colazione all’aperto, ci rechiamo all’appuntamento con il nostro buttero per la gita a cavallo ma c’è un problema, uno degli animali ha perso i ferri e la passeggiata deve essere rimandata al pomeriggio. Poco male ci dedichiamo ad una piacevole camminata tra i boschi. Semplice pasto, riposino e torniamo sul luogo dell’appuntamento. Il mandriano non c’è ed i cavalli neppure. Attendiamo. Dopo circa mezz’ora arrivano tre bimbette accaldate e con il fiatone. “La cavalla” ci dicono “ non si fa prendere e papà sta cercando in tutti i modi di risolvere il problema”. Rimaniamo in attesa. Tornano le bimbette, sempre più accaldate. Niente da fare, la cavalla non ne vuole sapere, per oggi dobbiamo rinunciare al nostro programma. Con le indicazione delle bambine raggiungiamo il povero cavallerizzo. E’ madido di sudore e non sa come scusarsi per l’inconveniente. Lo rassicuriamo e fissiamo un nuovo appuntamento per la mattina successiva. A questo punto potremmo andare ma restiamo a guardare divertiti, almeno noi, la cavalla ribelle che fugge in ogni dove ed il povero uomo che con qualunque mezzo e vari tipi di tranelli non smette di tentare la presa. Per quanto questa puledra ci sia simpatica ognuno di noi si augura di non averla in sorte il giorno dopo.

Domenica mattina, nuovo appuntamento e finalmente siamo tutti presenti compresa la cavalla ribelle che, a dire il vero, continua a non sembrare molto disponibile ma il buttero oggi non transige e si monta a cavallo. Ossia gli altri montano in sella, per me la faccenda è più ostica del previsto e per quanto mi sia illusa di aver prodotto un poderoso slancio resto con un piede infilato nella staffa ed il resto del corpo avvinghiato di traverso alla sella. Il povero buttero assume un espressione perplessa, vorrebbe aiutarmi e l’istinto gli suggerirebbe di darmi una bella spinta ma la buona educazione glie l’impedisce ed io conscia della posizione ridicola inizio a ridere perdendo anche le ultime forze a disposizione. Poi uno scatto d’orgoglio e mi ritrovo in sella. E’ evidente la mia assoluta mancanza di agilità ma non demordo ed assumo con un certo contegno la postura consigliata.
La mia cavalla si chiama Asia, è tranquilla ma molto golosa, vorrebbe quindi ignorarmi e continuare a mangiare ma non si può, la gita ha inizio. Asia però traccheggia e continua a fermarsi per gustare erbette, io con tono deciso tento di dissuaderla e tiro le briglie, lei infastidita ogni volta si vendica ripartendo al trotto. Tra l’ilarità generale cerco di non perdere l’equilibrio. “ “Stringi le ginocchia” mi suggerisce il nostro accompagnatore ed io diligente cerco di farlo ma ogni volta il dolore alle gambe aumenta. Resisto e mi concentro, io ed Asia dobbiamo riuscire a comunicare.
Intanto attraversiamo sentieri bellissimi e l’atmosfera è esattamente quella che avevo sperato. Passeggiando io ed Asia sembriamo aver trovato un punto di contatto, evito anche i rami e questa conquista m’inorgoglisce ma lei come intuendo i miei pensieri di tanto in tanto si gira e sembra osservarmi. Possibile? Eppure mi guarda ed i suoi occhi assumono un’aria compassionevole, ha capito la mia buona volontà ma non devo illudermi tra noi due è lei che regge le briglie.
Dopo quasi due ore di passeggiata e sprazzi al trotto le mie ginocchia m’implorano di smetterla e tornare a casa. Gli ultimi dieci minuti sono un tormento. Finalmente arriviamo. Smonto da cavallo, le miei rotule sono due perni doloranti ed io zoppicando salgo in macchina. Il mio essere cittadina ha azzerato la mia capacità di muovermi in modo naturale nel mio contesto naturale. La verità, per niente semplice d’accettare, mi spinge a molteplici riflessioni che rimando però ad un prossimo post.

mercoledì 19 settembre 2007

La giuria

Oggi tra le righe di questo post si svolgerà un processo simbolico.
L’imputato sarò io e verrò difesa dalla mia parte emotiva –forza di volontà.
L’accusa per la quale mi sottoporrò al vostro giudizio riguarderà la mia passione: la scrittura.
Il Pubblico Ministero che si occuperà di dimostrare la mia colpevolezza sarà la mia coscienza.
Poi ci sarà un giudice a cui darò voce cercando di non influenzare le sue opinioni.
Voi sarete la giuria e, se vorrete, potrete esprimere la vostra opinione attraverso questo blog o canali a voi congeniali.
Un ultima cosa… il post è un po’ lungo ma il caso è articolato ed io conto sulla vostra curiosità.
Ed ora andiamo a cominciare.



-Giudice: Imputato come si dichiara?
-Imputato: Innocente sig. Giudice
-Giudice: Si metta agli atti; P.M. - coscienza prego, può iniziare.
-P.M. Coscienza: Sig. Giudice vorrei esporre i fatti e contemporaneamente, per brevità, interrogare l’imputata.
-Giudice: Sono d’accordo, proceda pure.

-P.M. Coscienza: Sig.ra come ben sa è chiamata a difendersi in questa corte poiché lei a causa della sua passione, la scrittura appunto, sta trascurando molti aspetti della sua esistenza, compresi alcuni affetti che probabilmente a causa sua potrebbero soffrire dei disagi. Riconosce come vero ciò di cui la sto accusando?
-Imputato: Non del tutto Sig. P.M., io sto facendo del mio meglio per conciliare la mia passione con il resto della mia vita ma questo purtroppo non è sempre facile anzi, a volte è estremamente difficile.
-P.M. Coscienza: E’ pur vero che da quando lei ha lasciato a questa passione la possibilità d’emergere e trovare spazio nel suo tempo, la situazione l’è in imparte sfuggita di mano, e lei non pensa ad altro che a cosa scrivere o come scrivere?
-Imputata: Si è vero ma vorrei spiegare a questa corte le miei motivazioni.
-P.M. Coscienza: Ma la prego, siamo qui per questo.
-Imputata: Sig. Giudice, Avvocato, Giuria… io amo la scrittura da molto tempo, mi sono innamorata di lei sui banchi della scuola elementare e, come tutti i bambini, pensavo che questo incontro fosse una cosa bellissima ed importante per il mio futuro. Fare infatti, di questo amore la mia professione mi sembrava una grande idea, e mossa dall’entusiasmo immaginavo che sarebbe stato semplice, bastava volerlo ed io lo volevo, con tutto lo slancio dei miei pochi anni. Poi la vita ha un po’ stravolto i miei percorsi ed io ho dovuto rinunciare o forse sarebbe meglio dire che non ho più creduto di poter realizzare questo sogno. L’ho accantonato, ignorando tutte le promesse che avevo fatto a me stessa ed al sentimento che mi univa a lei.
Ma non l’ho dimenticata, quello che provavo per lei era sempre dentro di me e pulsava ed urlava cercando di richiamare continuamente la mia attenzione ma io evitavo di ascoltarla. Pensavo che ormai per noi non ci fosse più futuro, erano passati troppi anni, troppe cose ormai m’impedivano di vedere la strada che avevo ipotizzato quando ero piccina ed a quel punto mi è mancato il coraggio, quello necessario a cercare nuovi percorsi, altre possibilità. Mi sembrava un’impresa impossibile, disperata e con pochissime possibilità di riuscita.
-P.M. Coscienza: Ed aveva ragione. D’altronde in tutti quegli anni aveva compiuto altre scelte, preso degli impegni importanti ed è stato saggio da parte sua desistere.
-Imputata: Giusto dice? Saggio? Ma come può dirlo, sa perfettamente quanto questa rinuncia mi sia costata, quanto aver desistito mi abbia fatto soffrire, facendomi sentire una vigliacca, una donna incapace di seguire l’istinto del cuore.
-P.M. Coscienza: Si certo lo so, ma questo non cambia il dato oggettivo che ora esiste; la sua vita, a questo punto, non può essere sacrificata totalmente a questa “ passione”. Lei ha una famiglia, un lavoro, una serie di rapporti affettivi e sociali a cui non può sottrarsi, che non possono venire dopo questo “ grande amore”. Alla sua età, dovrebbe conoscere i limiti da dare alle personali esigenze e comportarsi da donna matura e responsabile.
-Imputata: E no signori, io sono stufa di comportarmi da donna responsabile, non faccio altro da tutta la vita. Sa cosa affermava O. Wilde: “ La vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri.” Ed io penso che avesse proprio ragione. Non posso più aspettare, questo è il momento ed io questa volta non intendo fare nessun passo indietro.
-P.M. Coscienza: E come la mettiamo con tutte le incombenze in cui volontariamente si è infilata? Dimentica le cose, ha sempre la testa tra le nuvole ed i suoi pensieri sembrano totalmente assorbiti da questo vecchio amore.
Ci sono momenti in cui anche un gesto affettuoso, una telefonata di un’amica, perfino mangiare tutto sembra disturbarla o non interessarla.
-Imputata: Ma non è vero, le cose non stanno esattamente come lei le sta esponendo. Io cerco di fare del mio meglio e corro e mi do da fare per cercare di soddisfare qualunque richiesta, ogni necessità ma scrivere non è soltanto un atto fisico, scrivere vuol dire pensare, significa dare spazio alle emozioni perché viaggino dentro di me e si trasformino in pensieri e poi in parole e questo richiede tempo, attenzione. Non è possibile incanalare la creatività tra una riunione ed una cena, la mente ha bisogno di spaziare. Per questo i grandi scrittori tendono ad isolarsi, a viaggiare.
-P.M. Coscienza: Si ma lei non è ancora una grande scrittrice, non sappiamo neanche se lei è una scrittrice. Il suo scrivere non produce effetti economici e questo, se mi permette, delimita qualche differenza.
-Imputata: Lo so, è vero ma come faccio a dimostrare la qualità del mio scrivere se non ho tempo per farlo, se i miei pensieri vengono continuamente interrotti? Questa è una lotta impari, ingiusta.
Per diventare una vera scrittrice ho bisogno di tempo, di tranquillità.
-P.M. Coscienza: E nel frattempo come la mettiamo con il resto della sua vita? Con i conti da pagare, con i ruoli che lei a scelto e che ora deve, dico, deve anteporre a tutto?
-Imputata: Non lo so, io chiedo soltanto a questa corte di considerare le mie ragioni ed emettere un verdetto che mi dia la possibilità di non sentirmi sempre in colpa se dimentico di comprare il latte o non mi accorgo che si è fatto tardi. Sto continuando a lavorare, cerco di fare del mio meglio per tutto il resto ma anche Lei, P.M.- Coscienza, potreste dimostrami un po’ di comprensione e non tormentarmi sempre con tutti questi sensi di colpa. Le passioni riempiono la nostra vita di gioia, fanno splendere i nostri animi e questo ci rende più ricchi interiormente e di conseguenza più disponibili con il prossimo. Non credo che potrei essere una persona migliore se ancora una volta anteponessi tutto il resto del mondo a me stessa. Mi trasformerei in una di quelle persone tristi, rancorose ed insoddisfatte e tutto ciò non gioverebbe a nessuno, tanto meno alla mia famiglia, ai miei amici. Quindi vi prego cercate di comprendere questa mia passione, così come siete inclini a fare quando qualcuno vi parla di un grande amore. In quel caso generalmente sorridete, guardate l’altro con aria complice e comprensiva, ecco vi chiedo di guardare me con gli stessi occhi, con la stessa aria bonaria. Non chiedo altro. Un po’ di tempo e comprensione.
Forse il tempo darà ragione a lei Sig. P.M. - Coscienza oppure dimostrerà il contrario e Lei ed anche tutti voi mi direte che ho fatto bene ad insistere, a perseguire il mio sogno. Il tempo come ho sentito dire in un film porta tutto alla luce…. Quindi datemi fiducia ed aspettate con me.
-P.M. Coscienza: Io ho finto il mio intervento.

-Giudice: Bene a questo punto chiedo alla Giuria di ritirarsi per emettere il verdetto. La seduta è aggiornata alla vostra decisione.

lunedì 17 settembre 2007

Pineto

“ Il tempo sbatte stanco dall’albero maestro” dice Virginia Woolf in un suo romanzo, ed è esattamente lo scandire del tempo che io vorrei, ora, in questa parte nuova della mia vita
mentre la memoria, richiamata dalla bellezza evocativa dell’immagine, mi riporta lontano, a qualcosa di vissuto a cui non pensavo più, da tanto.

Le ore calde di un luglio dimenticato, la spiaggia grande, deserta e bianca, il mare vicino, azzurro quasi immobile ed io che non conosco il tempo. Nessun orologio, nessun segno irriverente del suo passaggio sul mio corpo. Le carni sode, le linee del viso compatte dai tratti ancora vagamente infantili, abbandonata sfioro con una mano i granelli di sabbia. Lontano una campana declama i suo rintocchi, io li ascolto passiva, senza attenzione per non sapere. Osservo ogni tanto le ombre sull’arenile, quella è la mia clessidra indicativa. Non ci sono minuti da rispettare ed il vento complice lo sa. Per questo disperde l’eco del religioso suono. Ed io mi ricongiungo al mare, allo sciabordio dolce della sua risacca. Non c’era altro allora a riempire i miei pensieri.
Sdraiata indugiavo, anticipando nella mente i passi che avrei mosso verso casa, percependo già il calore della sabbia che avrebbe avvolto i miei piedi inducendomi ad una veloce corsa fin sotto l’ombrosa pineta e lì un attimo di refrigerio, lo scricchiolio degli aghi di pino, il profumo della resina e le parole paterne, tante volte udite, che da sole sarebbero tornate come un comando memorizzato: “ Respira forte, respira che ti fa bene.” Ed io avrei respirato, forte, chiudendo gli occhi. Riaprendoli avrei rivolto un ultimo sguardo al mare ed avrei ripreso a camminare fino al sottopassaggio. Sul muro di sinistra avrei osservato i manifesti dei film in programmazione nell’arena. Uno pomeridiano per i bambini e poi l’altro, quello ambito della sera. Quindi avrei ridisceso gli scalini, sopra la mia testa le rotaie e forse il passaggio di un treno, il suo ferroso frastuono, lo spavento di un fischio improvviso. Appena gli occhi si fossero abituati al repentino cambio di luce avrei guardato le mattonelle rettangolari, con i rombi azzurri in rilievo. Così, per abitudine. E di nuovo altri scalini e fuori il sole con il piccolo albergo che si sarebbe mostrato lentamente, ad ogni gradino superato. A destra la fontana, secca, le panchine di pietra ricurva, non un passante, forse il sonno di qualche gatto e l’abbaiare quasi certo di un cane.
Null’altro. Almeno per venti, forse trenta passi. Poi la mia testa si sarebbe alzata, sempre allo stesso punto della via e gli occhi sarebbero corsi in alto verso la piccola terrazza. I capelli dorati di mia madre e poi quelli bruni di mio padre. Li avrei guardati, non vista almeno per qualche metro. Avrei spiato felice il loro comune affaccendarsi, i gesti amati che conoscevo. Mi stavano aspettando. Ed il mio cuore si sarebbe riempito di una gioia piena, che non ho più provato.

mercoledì 12 settembre 2007

Inizio alternativo

"L'anima nasce vecchia ma ringiovanisce: questo fa della vita una commedia. Il corpo nasce giovane ma invecchia: questo fa della vita una tragedia."

Tratto da Aforismi di O.Wilde

Apro con questo aforisma e vi lascio un po' soli, a rifletterci su.

Io torno più tardi.

martedì 11 settembre 2007

La chiusura di un ciclo

Oggi ho chiuso un rapporto lavorativo durato più di due anni.
Ho firmato la revoca del mio contratto con una semplice firma alla fine di tre striminzite righe prestampate e tutto si è ufficialmente concluso.
Un passaggio lavorativo importante e pieno di premesse è terminato così.
Non ho provato rimpianti, non ho avuto titubanze, dentro di me quella parte della mia vita era già chiusa da tempo ed oggi la firma ha unicamente sancito burocraticamente un passaggio mentale ed emotivo già avvenuto.
Quando mi fu proposto di lavorare presso questa struttura stavo vivendo un momento veramente difficile ed accolsi questa possibilità come se rappresentasse l’auspicio di un periodo migliore, l’incoraggiamento del fato alla mia volontà di continuare a vedere positivo anche se tutto allora mi spingeva verso considerazioni assai cupe. Quindi l’inizio, per quanto turbato da eventi personali, fu una vera boccata d’ossigeno che però non ebbe alla lunga gli effetti sperati.
Come spesso accade, le premesse non furono mantenute nei fatti ed io mi ritrovai ben presto prigioniera di una dimensione professionale che non aveva nulla a che fare con quanto mi era stato prospettato né con quanto avevo sperato.
La mia determinazione, la tenacia di cui non difetto non hanno potuto nulla rispetto alla mancanza di volontà di chi era sopra di me ed allora con pochi strappi ma inesorabilmente io, come spesso mi accade ho iniziato a chiudere interiormente questa fase della mia vita.
Prima delle vacanze pubblicai un post in cui sostenevo, con l’aiuto di un haiku, che non sempre gli accadimenti che ci appaiano negativi lo saranno per davvero. Ovviamente non mi riferivo a qualunque tipo di accadimento, come qualcuno all’epoca aveva forse erroneamente interpretato, ma a tutti quei casi in cui gli eventi esterni decidono per noi un nuovo giro di Walzer, un rimescolamento delle carte, per metterci alla prova, spingendoci a scoprire qualcosa di noi che non conoscevamo, che per pigrizia non saremmo mai andati a cercare. Per questo motivo non temo le novità e quindi, di conseguenza, accolgo il nuovo con una certa benevola predisposizione.
E’ anche vero che a volte la fine di un ciclo porta con se un senso d’insoddisfazione per quello che poteva essere e non è stato ma io credo di saper a cogliere molto più di quanto mi viene esplicitamente mostrato e quindi posso dire che non tutto quello che ho vissuto e lasciato fra quelle mura ha per me un retro gusto amaro.
Ho imparato molto ed in fondo non è così importante che le conoscenze apprese riguardino aspetti che non avevo inizialmente ipotizzato. L’esperienza che ne ho tratto, per quanto a volte faticosa da gestire nel quotidiano, oggi è un patrimonio di cui riconosco il valore. Inoltre, grazie ad un destino un po’ mattacchione e grazie proprio alle dinamiche di questo lavoro ho vissuto momenti speciali.
Per prima cosa il connubio problemi familiari ed insoddisfazione lavorativa hanno prodotto il mio primo libro con tutte le meraviglie che ne sono seguite.
Poi, ci sono i rapporti umani intessuti, tanti, diversi, che per motivi differenti mi hanno stimolato, accresciuto. Ed infine c’è l’amicizia, merce rara, nata così, in un incontro casuale tra persone di età diverse, con vissuti diversi ma che in una passione comune – la scrittura – ha trovato il seme per germogliare e crescere.
Vorrei quindi, se per una volta me lo permettete, chiudere questo post parlando direttamente ai miei colleghi – amici che sono anche miei compagni di blog.
Le nostre chiacchierate un po’ filosofiche, il nostro supportarci nelle giornate no, il nostro saper ridere delle difficoltà comuni, tutto questo e molto altro ancora è la parte bella che porto via con me.
A voi va il mio grazie per tutte le volte che mi avete aiutato, ascoltato, sostenuto nei miei passaggi personali e nella realizzazione del mio sogno di scrittrice. E’ stato entusiasmante, spesso esilarante dividere con voi le lunghe e faticose ore che il nostro impiego prevedeva e credo di poter affermare che per soli due anni di lavoro in cambio ho ricevuto veramente molto. Siete speciali e vi voglio bene, per i vostri caratteri diversi ma anche per i tratti simili che ci accomunano. Dieci ore al giorno per due anni non è poca cosa ed io sento già la vostra mancanza ma voi, mi raccomando, non abbandonate il progetto, grazie al più informatico di noi i nostri dialoghi potranno continuare anche attraverso strumenti diversi.
Il circolo culturale deve continuare.

lunedì 10 settembre 2007

Riconoscere ed accettare di non sapere.

Un guerriero si presenta a casa di un grande maestro di cui vuole diventare discepolo. Apre la porta ed è ancora sulla soglia quando il maestro, che lo vede per la prima volta, traccia un cerchio nell'aria e lo riceve chiedendogli secondo lui cosa significa.
" Ascoltate maestro " risponde il futuro discepolo " sono appena arrivato e disegnate segni misteriosi nell'aria....è troppo presto. Non comprendo cosa possa voler dire."
"Entra e chiudi la porta. Puoi essere mio discepolo."


Koan tratto da " Il dito e la luna"
di A. Jodorowsku

venerdì 7 settembre 2007

Un momento di riflessione

Tutto è modificabile, nulla è fatalmente immobile in noi, lo stesso nostro carattere non è immutabile nel tempo, anzi gli avvenimenti lavorano sul suo metallo e lo scheggiano o lo scolpiscono, mentre l'educazione, specialmente l'auto-educazione, ha ancora maggiore potere su di esso, e sa fonderlo più o meno completamente secondo la forma dell'ideale prefisso.

Da " Divagazioni sulla felicità" di Oscar Fingal

giovedì 6 settembre 2007

La premessa


Quando parto per un viaggio, specialmente se molto lungo ed in luoghi lontani io vivo un voluto ed agognato distacco da tutto quello che lascio qui, nella mia vita di sempre. Appena l’aereo si alza in volo io mi sporgo per osservare dal piccolo finestrino la città che cambia forma divenendo via via un sempre più indistinti insieme di costruzioni che quasi subito non riesco più a riconoscere. E provo un immenso piacere.
A diecimila piedi tutto il sottostante perde ai miei occhi molto del suo potere ed io, che già normalmente tendo a volgere il mio sguardo verso il cielo, lassù, sospesa nel nulla vivo momenti di pura gioia.
Quando poi l’aereo atterra e come in una magia mi trovo catapultata in una dimensione totalmente diversa dal mio consueto, chiudo per un attimo gli occhi, inspiro forte la diversità dell’aria e poi riprendendo il contatto visivo con quello che mi circonda sono pronta per immergermi nel nuovo mondo che personalmente inizierò ad esplorare.
E sono due le cose da cui più di ogni altro generalmente mi faccio avvolgere: la natura e gli esseri umani che poi in fondo sono la stessa cosa.

Quando, dopo un volo di circa un’ora e mezzo, da Johannesburg sono arrivata in Zambia avevo dentro di me già quasi venti giorni di Africa. Alcuni paesaggi mi erano quindi familiari, tuttavia atterrata nel piccolo, seppur internazionale aeroporto di Livingstone ho percepito subito che quella che stavo per visitare era ancora un’altra Africa rispetto a quella vista fin lì.
Fuori dal surreale aeroscalo infatti l’atmosfera mi ha subito conquistata. Quello che mi circondava era tutto abbastanza abbrustolito dal sole ed il caldo si era fatto più consistente. Tutto intorno piccole abitazioni ed un paese semplice, fatto quasi di un’unica strada, con negozi più che dignitosi ed in alcuni casi anche con qualche velleità internazionale. Le persone come sempre si muovevano tranquille, incuranti del caldo, sempre vestite con colori vivaci ed allegri.
Giunti in albergo uno stuolo di personale ci ha accolti tra mille sorrisi e dolci sguardi. Il posto era fantastico, proprio a ridosso e con un accesso privato alle Cascate Vittoria.
Una ragazza molto carina ci ha condotto fino alle nostre camere spiegandoci i dettagli del nostro soggiorno e dandoci tutte le coordinate necessarie per un piacevole relax.
Notando i suoi modi gentili e misurati ho iniziato a provare un certo senso d’inadeguatezza.

Comunque donne


Forse avrete già capito che oggi ho voglia di parlavi di donne, di queste donne dai tratti morbidi, quasi tondeggianti e vorrei farlo descrivendovi le sensazioni contrastanti che ho provato poi guardandomi, guardando le altre donne bianche.
Le donne che ho visto in Zambia sono in molti casi bellissime. Le giovani hanno volti dolci e succosi, con labbra naturalmente soffici e degli occhi che osservandoti comunicano una disponibilità ingenua anche se purtroppo non priva di un velo di ancestrale malinconia. Hanno corpi in molti casi snelli e slanciati e le loro forme sono estremamente femminili. È abbastanza scontato dire che negli alberghi il personale viene scelto anche in base ad una certa prestanza fisica e che fuori da questi luoghi le corporature cambiano e si diversificano specie nelle grandi città, dove modalità comportamentali ed un tipo di abbigliamento più occidentalizzato come una livella ha fatto perdere una parte della squisitezza istintuale che consacra le mandorle scure a livelli di femminilità per noi inarrivabili .
Dunque, non è la fisicità di per se ad avermi colpito, quanto quello che attraverso i lori modi riescono comunque a trasmettere.
Io le guardavo e poi mi guardavo e poi osservavo le altre donne bianche di diverse nazionalità che si muovevano intorno a me e ogni volta che riposavo i miei occhi su le donne del posto un certo senso d’inadeguatezza mi pervadeva.
Proprio non c’eravamo.
Noi donne bianche, anche se giovanissime abbiamo acquisito dei comportamenti di cui purtroppo non siamo consapevoli. La vita che conduciamo, le battaglie sociali che abbiamo giustamente condotto per arrivare alla tanta desiderata parità ci hanno inevitabilmente segnato. Nei volti, negli atteggiamenti, anche nelle tipologia di relazione che adottiamo. Le nostre figlie, in alcuni casi anche le nostre nipoti, sembrano aver assorbito, quasi per via genetica, la fatica e le ferite che portiamo dentro per questo nostro passato di conquiste, e sono dure, aggressive con una forma di seduzione fin troppo esplicita, quasi intimidatoria. Ovviamente non vorrei esagerare né generalizzare, tutto quello di cui accenno non appartiene all’intero mondo femminile della razza bianca, dico soltanto che vedendo da vicino un modo diverso di essere donna queste differenze per quanto consequenziali e quindi giustificate anche da un diverso tipo di vita e di storia, saltano agli occhi in modo eclatante.
E non che queste donne vivano od abbiano vissuto una vita più comoda della nostra, tutt’altro. La fatica e le difficoltà sono parte integrante della loro quotidiano quanto e se non più che del nostro.
In molte tribù le donne si occupano oltre che della solita famiglia, dei campi, della sopravvivenza quotidiana che non è certo facile come accade per la maggior parte di noi. Hanno una schiera di bambini a cui badare, animali che sbucano da tutte le parti e mancanza di acqua, di comodità, assai spesso di mezzi di trasporto. Camminano sotto un sole cocente portando figli sulle spalle, pesanti pacchi sulla testa per chilometri e chilometri e sono quasi sempre sole. Gli uomini sono via, nelle città in cerca di lavoro e di soldi. Eppure, nonostante tutto, nonostante le ingiustizie che hanno vissuto e che vivono e di cui noi non abbiamo la benché minima percezione la loro femminilità è tutta lì, e si manifesta continuamente, senza clamore, senza l’ostentazione di un abbigliamento necessariamente succinto, senza dosi massicce di trucco e soprattutto nella stragrande maggioranza dei casi senza alcun apporto chirurgico.
Io sono una donna bianca e non potrei non amare la genetica da cui provengo, è la mia e mi appartiene fino all’ultima cellula e sono orgogliosa di quanto, anche nel bianco della nostra pelle, la natura riesca spesso a fare in termini di bellezza e grazia ma nell’onesta di quanto ho visto devo riconoscere che purtroppo noi abbiamo perso la dote che più di ogni altra avremmo dovuto preservare, perché è quella che fa la differenza e che se ben usata non ci rende necessariamente più deboli ma soltanto speciali: la dolcezza propria della femminilità.
Sono partita dunque da questi luoghi con negli occhi l’immagine di queste mandorle scure avvolte in vesti per lo più castigate e semplici dove la sensualità si spargeva comunque ad ogni battere di ciglia e salendo sull’aereo mi sono ritrovata ad osservare noi, le donne europee che tornando a casa avevamo ripreso i nostri abiti in parte abbandonati per comodità e mi sono vista sfilare davanti femmine per lo più magrissime, dai volti tirati per non ben specifici motivi, costrette in pantaloni strizza ciccia abbinati a stivali, cinte borchiate, magliette scollate e per chi andava al freddo giubbotti di fogge varie. Mi è presa l’ansia ed un senso di disagio per quello che siamo diventate.
La naturalezza e la semplicità delle donne africane batte qualunque nostro accorgimento estetico perché è qualcosa d’istintuale che hanno dentro e che anche noi dovremmo recuperare. Basta essere donne, comportarci da donne. Quello che siamo non è perso è stato soltanto messo da qualche parte e possiamo riprenderlo se vogliamo, se capiamo quanto può essere meraviglioso trasmettere senza forzature la nostra diversità dal genere maschile, il quale a sua volta farebbe bene a riappropriarsi di un qualcosa che languisce anche’esso chissà dove. Ma questa è un’altra storia e ve la racconterò, prima o poi.

martedì 4 settembre 2007

Orizzonti africani


Eccomi qui, sono tornata dal mio viaggio in Africa.
Quando vi ho salutato circa un mese fa ero convinta che al mio ritorno l’entusiasmo per questo viaggio avrebbe prodotto una moltitudine di scritti.
Ero certa, allora, che questa avventura sarebbe stata ancora più appassionante di quanto potessi immaginare ed il mal d’Africa si sarebbe impadronito di me senza alcuna difficoltà, pronta com’ero ad ammalarmi d’amore per questo continente. Ed invece, a dieci giorni circa dal mio rientro ho ancora una certa difficoltà a scrivere di questa intensa esperienza.
Forse dovrei iniziare con il dirvi che tutto quello che ho visto e provato macinando chilometri e chilometri tra le mille sfumature di questa terra imprevedibile sta ancora decantando i suoi aromi e quindi le sensazioni ogni giorno diventano più chiare, concretizzandosi in un sentire più netto, meno nebuloso. Ma per ora vi posso parlare della mia Africa soltanto così, lasciando che anche il non definito emerga da quanto scriverò.


L’Africa che mi ha accolto è un paese intenso e difficile. E’ molto di quello che viene raccontato nei libri, nei documentari ma è anche molto altro ed è stato impegnativo per me cercare di cogliere il tanto di cui non smetteva di parlarmi.
Questa terra si è mostrata ai miei occhi senza pudore, a volte schiaffeggiandomi arrabbiata, in altre occasioni ninnandomi nella dolcezza che ti abbraccia improvvisa nell’indescrivibilità dei suoi colori, nei profumi sempre diversi dei suoi paesaggi. Quando non me l’aspettavo maternamente mi ha preso per mano e mi ha condotto lontano, negli occhi delle persone e come se non bastasse in quelli degli animali, tanti, diversi, padroni assoluti di questi spazi. Tutti gli occhi che ho incrociato sono entrati dentro la mia anima e li sono rimasti. Non voglio perderli, non posso lasciarli andare. Sono la chiave d’accesso per arrivare almeno a sfiorare l’essenza di questo paese. Attraverso la forza che sanno esercitare il mio viaggio è divenuto altro e soltanto a quel punto sono stata capace di sorvolare le distese infinite che si aprivano davanti a me.
Mio marito e mio figlio sorridono quando affermo che questo viaggio l’ho vissuto attraverso gli occhi della gente ma, per quel che sento questa è la verità.
In questa parte del mondo, in un emisfero diverso, quasi a testa in giù rispetto a tutto il resto del pianeta, dove la luna quando non è piena sembra una barchetta e le stelle ti parlano di costellazioni sconosciute, le persone ti guardano dritto negli occhi, con un’umiltà fiera, consapevoli di non dover essere loro a provare vergogna.


Ho incrociato o cercato gli sguardi di tantissime persone e loro, le persone che incontravo hanno corrisposto il dialogo muto ed intimo che cercavo.
Non me l’aspettavo. Non fa parte della nostra cultura fissare qualcuno dritto negli occhi. Qui da noi sembra quasi un’intrusione od un atto di sfida. Il nostro guardare è sempre fuggevole, superficiale in prevalenza schivo e spesso imbarazzato e questo implica una barriera emotiva tra gli individui.
Per questo usiamo tanto le comunicazioni via e-mail o sms, a volte per lo stesso motivo celiamo i nostri occhi dietro lenti scure e quando parliamo di fronte a qualcuno frequentemente facciamo vagare il nostro sguardo altrove. Ma in Africa no, nessuno sembra avere voglia di creare questo tipo di barriere.
Le mandorle scure mi hanno scrutato ed accarezzato ed io, per quanto lo volessi non ero preparata ed anche per questo sono riuscite a penetrare così a fondo dentro me.
Ci sono sguardi ed occhi che non dimenticherò mai, colti o ricevuti per un istintiva simpatia, per gratitudine, per una dolce e misuratissima voglia di seduzione. Li amo tutti quegli occhi, senza riserve e di qualcuno vi racconterò, ma non ora, più in là quando sarò pronta perché, credo che l’abbiate capito, le persone sono l’aspetto di questo paese che mi ha scombussolato ed emozionato di più.



Poi ovviamente c’è la natura.
E dalla natura mi sono sentita sovrastata.

Lo scorso anno ho viaggiato per molte miglia nella costa ovest degli Stati Uniti ed il territorio di questo continente mi ha letteralmente conquistato regalandomi delle sensazioni così forti e meravigliose che il mio povero cuore soffre ancora di una feroce nostalgia.
La natura in quella parte di mondo è bella e travolgente e da subito ho sentito esplodere dentro di me tutte l’energie dell’universo. Mi sono quindi innamorata di quei luoghi abbandonandomi senza reticenze al vertiginoso senso di libertà che mi procuravano e sono più che certa che una parte di me è rimasta laggiù, tra gli imponenti canyon, le sconfinate praterie e l’indescrivibile bellezza dell’Oceano Pacifico. Sono emozioni forti, difficili da spiegare e per molte ragioni, per tutto quello che hanno scatenato nella mia anima sarò sempre grata a questo stupendo paese. Pensavo quindi che l’Africa, nella sua parte più meridionale sarebbe stata per me un altro viaggio nella libertà, nella vastità di una natura da cui volevo farmi incantare. Ma avevo fatto i conti soltanto con gli stereotipi racconti altrui e non con la realtà che questo continente riserva ai suoi visitatori.
La natura in Africa è qualcosa d’incontenibile, arriva ovunque e non accetta limiti. Per quanto l’uomo bianco abbia cercato di addomesticarla, ridefinendola secondo i propri occidentali criteri, lei straborda ovunque e la dove non gli è permesso arrivare con la flora lei non si scoraggia ed impone la sua fauna con generosità. Gli animali infatti sono gli unici abitanti di questi spazi che sembrano muoversi tranquillamente in qualunque situazione. Quella è la loro terra ed è difficile per l’uomo vincere questa battaglia. Ce ne sono così tanti e di così diverse specie che ci si rende subito conto che non ci sarà verso, loro volendo arriveranno.
Certo ci sono zone in cui gli alberghi sono fantastici e le città principali hanno ormai assunto un aspetto familiare per noi europei e questo è il dato che inizialmente rassicura molti turisti, ma chi non si accontenta e cerca di vedere oltre questi splendidi ma fittizi giardini capisce subito che la musica è un'altra e non è certo l’uomo a decidere le note.
Nonostante le mille attenzioni una scimmia ha rubato dal mio piatto e con una velocità inimmaginabile il toast che stavo mangiando, languidamente sdraiata in piscina . In un'altra località una rana temeraria si è introdotta nella nostra camera e poi in una scarpa di mio figlio, incappando, poverina lei, in un involontario trasferimento da uno stato all’altro. E questi non sono che due piccoli esempi.
Ho visto una moltitudine di animali, di tutti i tipi, di tutte le dimensioni, loro erano perfettamente a proprio agio, io molto meno. È necessario stare attenti, non è possibile camminare con la testa tra le nuvole, si può incontrare di tutto e la cosa può divenire pericolosa. Tuttavia vederli muoversi nel loro contesto è qualcosa che riesce ad emozionare anche i cuori più aridi. La bellezza, l’energia che sprigionano, i loro sguardi curiosi od intimidatori sono un incanto a cui è impossibile sottrarsi.
Ma è un mondo a cui non sono abituata, è una dominazione che m’incute una soggezione inevitabile e questo pur ammaliandomi mi ha reso poco libera. Ho attraversato il territorio americano consapevole delle sue leggi naturali ma anche nella certezza di un contesto a me molto più vicino. L’Africa è un'altra cosa almeno ai miei occhi, ancora non è soggetta a regole e questo per una cittadina come me, ormai disabituata anche al canto del gallo è qualcosa che inquieta ed intimidisce.
Ma ovviamente non è tutto qui, vi parlerò di tante altre cose: dei suoi contrasti sociali, delle ingiustizie insopportabili che ancora resistono e non smettono di farla sanguinare. Ma poi tenterò di farvi sognare cercando di descrivervi i mille colori di cui è capace, i suoni incredibili con cui riesce a farsi ascoltare, sperando di scaldare ed illuminare l’autunno che ci aspetta con il calore della mia bellissima Africa.